Il saggio fornisce un’approfondita trattazione delle regole della formazione del capitale sociale nell’ambito delle società a responsabilità limitata. In tale prospettiva di analisi, l’autore delinea la disciplina dei conferimenti, analizzando – inter alia – i conferimenti di beni in natura e di crediti, la disciplina dei versamenti e i doveri degli amministratori circa la stima dei conferimenti. Da ultimo, l’autore affronta la questione della mancata esecuzione dei conferimenti, soffermandosi su patologie e rimedi.
Keywords: share capital – social interests – protection of creditors – bestowals
The essay provides an in-depth analysis of the rules of the formation of legal capital in the context of limited liability companies. In this perspective, the author outlines the discipline of contributions, analyzing – inter alia – the contributions of assets in kind and credits, the discipline of payments and the duties of administrators regarding the estimate of contributions. Lastly, the author addresses the issue of non-execution of the conferences, focusing on pathologies and remedies.
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1. Preambolo - 2. Capitale sociale e sistema del netto - 3. Le utilità conferibili in s.r.l. - 4. Il rapporto tra valore dei conferimenti e capitale sociale - 5. I conferimenti in denaro e le s.r.l. senza capitale - 5.1. La facoltà di versare il 25% del conferimento in danaro - 5.2. I conferimenti nella s.r.l. unipersonale - 5.3. Le s.r.l. con capitale inferiore ad euro diecimila - 6. I conferimenti di beni in natura e di crediti - 6.1. La stima e i connessi doveri degli amministratori - 6.2. Le garanzie e i rischi a carico del conferente - 6.3. Gli “acquisti pericolosi” - 7. Il conferimento di prestazioni d’opera e servizi - 7.2. La stima (e la minusvalenza) della prestazione conferita - 7.3. La mancata attuazione della prestazione conferita per impossibilità sopravvenuta - 7.4. Le garanzie a presidio del conferimento di industria - 8. La mancata esecuzione dei conferimenti. Patologie e rimedi - 8.1. L’applicabilità dell’art. 2466 ai conferimenti in natura - 8.2. Il procedimento finalizzato alla copertura o alla riduzione del capitale - 8.3. L’incidenza della mora sui diritti corporativi del socio - 8.4. La posizione del socio di industria inadempiente - 8.4.1. La posizione del socio di industria in seguito al verificarsi di fatti di impossibilità sopravvenuta - 8.4.2. La scadenza o l’inefficacia delle garanzie personali a presidio del conferimento d’opera o servizi - NOTE
Le regole sulla formazione del capitale incidono su interessi molteplici, eterogenei e potenzialmente confliggenti, quali la tutela dei creditori, la realizzazione degli obiettivi imprenditoriali dei soci e la protezione delle esigenze produttive dell’impresa. Schematicamente e con inevitabile approssimazione, la storica funzione del capitale di garanzia per i creditori, sicuramente avvertita nell’impostazione del codice civile del 1942, ha progressivamente perduto la propria centralità: limitando l’indagine ai tempi più recenti, la riforma del diritto societario del 2003 e soprattutto i successivi interventi sulla s.r.l. e sulla legge fallimentare hanno modificato la disciplina della formazione e del mantenimento del capitale secondo una linea evolutiva di allentamento delle regole e di valorizzazione dell’autonomia statutaria [1]. La rilevanza del sistema del capitale nella prospettiva di protezione dei creditori sociali si fonda primariamente sul regime di responsabilità per le obbligazioni assunte dalle società capitalistiche, ciò che integra l’applicazione forse più nota del principio espresso dall’art. 2740, secondo comma [2], cod. civ.: la s.p.a. e la s.r.l. consentono ai soci di svolgere, sebbene indirettamente, attività di impresa con il beneficio della responsabilità limitata, contenendo il rischio nella perdita delle risorse conferite (salvo quanto previsto dagli artt. 2467 o 2497-quinquies sul regime dei finanziamenti in favore della società). Simmetricamente, le obbligazioni sociali sono garantite esclusivamente dal patrimonio della società (art. 2462, primo comma), il quale opera nell’accezione di cui all’art. 2740 e nel contempo, anzi soprattutto, svolge una funzione produttiva in quanto strumentale allo svolgimento dell’attività di impresa: un patrimonio aggredibile dai creditori costituisce tuttavia una componente non essenziale dell’azienda, il cui complesso può essere costituito in tutto o in parte, da beni non suscettibili di esecuzione forzata in quanto di proprietà di terzi e goduti dall’imprenditore a titolo di leasing, locazione, affitto, licenza d’uso, etc. La funzione produttiva del patrimonio sociale può essere apprezzata in due direzioni: da un lato, i soci o gli amministratori gestiscono il patrimonio allo scopo di aumentarne il [continua ..]
Il tema della adeguatezza degli strumenti con cui il diritto societario protegge le aspettative dei creditori è da sempre al centro dell’attenzione dei legislatori e della dottrina. Il dibattito sulle funzioni del capitale è uno degli snodi essenziali di tale riflessione, nell’ultimo ventennio approdata ad esiti nuovi alla luce delle molteplici innovazioni in materia di s.p.a. e s.r.l. (liberalizzazione della società unipersonale; superamento della proporzionalità tra conferimenti e assegnazione delle partecipazioni tra i soci; abolizione del divieto di emissione di azioni a voto plurimo; previsione dei conferimenti senza stima nelle società azionarie; sensibile riduzione del capitale minimo; nella s.r.l. conferibilità delle prestazioni d’opera e servizi e introduzione della società con capitale di un euro; introduzione di significative deroghe agli artt. 2446-2447 per le start-up e PMI innovative), nonché delle norme “fallimentari” in punto di conservazione del capitale e (mancato) scioglimento della società per effetto della riduzione del capitale sotto il minimo legale con sospensione dell’obbligo di procedere alla ricapitalizzazione. La descritta linea evolutiva è confermata dagli artt. 20, 64, 89, del CODICE DELLA CRISI DELL’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) [5], nonché dalla legislazione del 2020 finalizzata a sostenere le imprese a fronte della pandemia COVID-19 [6]. Ancora, a riprova di un mutato approccio al mantenimento del capitale, merita farsi un cenno alla speciale disciplina nell’ambito delle s.r.l. e s.p.a. start-up e s.r.l. P.M.I. innovative [7] ad opera del d.l. n. 179/2012 (convertito, con modificazioni, nella l. n. 221/2012) e dal d.l. n. 3/2015. In questi sotto-tipi o varianti del tipo il legislatore ha introdotto alcune significative deroghe sulle regole di conservazione del capitale sociale finalizzate a consentire una gestione più flessibile delle perdite: l’art. 26, comma primo, d.l. 179/2012 [8], prevede un differimento di dodici mesi del “rinvio a nuovo” delle perdite ex artt. 2446 e 2482-bis, nonché, nelle ipotesi più gravi in cui le perdite arrivino ad intaccare il minimo legale, consente di rinviare la [continua ..]
La prima voce del patrimonio netto è appunto il capitale sociale (nominale), definibile come somma dei valori dei singoli conferimenti apportati dai soci, ovvero, in una più ampia prospettiva, come frazione del patrimonio netto coincidente con il valore complessivo degli apporti che i soci effettuano o promettono di effettuare a titolo di conferimento. I soci hanno la facoltà di determinare liberamente l’ammontare del capitale nel limite del rispetto della soglia minima, pari, salve le ipotesi trattate infra nel § 5.3, ad euro diecimila (art. 2463, comma secondo, n. 4). Il capitale è concettualmente un valore fisso (c.d. carattere programmatico della regola del capitale), ma il capitale determinato al momento della costituzione della società può essere successivamente aumentato o ridotto tramite decisioni dei soci di modifica dell’atto costitutivo. Il valore del capitale sottoscritto, in ragione della funzione vincolistica di cui si è fatto cenno, è contabilizzato al passivo nella voce AI), indipendentemente dalla frazione del capitale versato. Se tuttavia i soci hanno eseguito i conferimenti in denaro in misura parziale, gli importi non ancora versati, i quali costituiscono un credito della società verso i soci, sono indicati nella voce A) dell’attivo. Le utilità conferibili in s.r.l. di desumono dalla ampia formula utilizzata dall’art. 2464, secondo comma, in forza del quale possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica. La norma – è stato rilevato da tutti i commentatori già nell’immediatezza della riforma [15] – riprende quasi letteralmente l’art. 7 della seconda direttiva comunitaria in materia di s.p.a. (che invece non compare in sede di disciplina delle società azionarie [16]). La dottrina si è quindi impegnata nella precisazione del requisito di suscettibilità di valutazione economica, deputato dal legislatore del 2003 a circoscrivere l’area della conferibilità nella s.r.l. In seguito all’emanazione della seconda direttiva si è affermata l’opinione che la valutabilità economica ai fini dell’imputazione a capitale di un apporto non coincide – per eccesso – con la nozione di patrimonialità della prestazione di cui [continua ..]
L’art. 2464, primo comma, nell’enunciare il rapporto tra valore dei conferimenti e capitale, prescrive che il primo sia almeno pari al secondo; la somma dei valori apportati dai soci a titolo di conferimento deve essere quantomeno sufficiente a coprire l’importo del capitale. La norma, direttamente applicabile anche in sede di aumento di capitale, si presta a due chiavi di lettura. A) Il sovrapprezzo Il legislatore, al fine di garantire l’effettività del capitale – interesse presidiato anche dalla norma incriminatrice dettata dall’art. 2632 – vieta che il valore imputato a capitale sociale sia superiore al valore della somma dei conferimenti, ma, al contrario, consente che solo una parte del valore effettivo dei conferimenti sia imputata a capitale con conseguente appostazione della differenza a riserva da sopraprezzo [nella voce A) II del patrimonio netto]. Il quarto comma dell’art. 2464 prevede, in ipotesi di conferimenti in denaro, l’integrale versamento del sovrapprezzo al momento della sottoscrizione. B) Il rapporto tra quote e conferimenti Il riferimento all’“ammontare globale” del capitale postula una valutazione del rapporto conferimenti/capitale orientata su tutti i soci ed implicitamente consente la non coincidenza tra valore del conferimento e valore della quota di partecipazione assegnata al socio, a condizione che il minor valore dell’apporto a capitale di un socio rispetto alla quota assegnata a quest’ultimo sia coperto dal maggior valore del conferimento eseguito da altro o altri soci. La norma, letta in combinato disposto con l’art. 2468, secondo comma, ultima parte, evidenzia la distinzione tra ripartizione delle quote nella compagine sociale (profilo interno) e copertura del capitale tramite conferimenti di tutti i soci (profilo esterno), la prima lasciata all’autonomia statutaria – che può deviare dalla regola legale della proporzionalità tra conferimento e quota – la seconda inderogabile in quanto postulato della effettività del capitale [22]. La disposizione in esame è analoga alla previsione dell’art. 2263, primo comma, sulle società di persone risalente all’impianto originario del codice del 1942 e nel contempo ricalca quasi letteralmente l’art. 2346, quinto comma, anch’essa introdotta dal d.lgs. n. 6/2003. La non necessaria [continua ..]
L’art. 2464, terzo comma, la cui formulazione è identica a quella del primo comma dell’art. 2342 sulle società azionarie, individua il conferimento in denaro come fattispecie di applicazione residuale, la cui ragionevolezza riposa sulla fungibilità della pecunia, come sull’esigenza di perseguire l’effettività del capitale, da intendersi qui nell’accezione di equivalenza economica tra valore dichiarato e risorse entrate come mezzi propri nel patrimonio sociale in sede di costituzione della s.r.l. o di aumento del capitale. In ordine all’esecuzione delle delibere di aumento di capitale la giurisprudenza, con orientamento consolidato e condiviso dalla prassi notarile [24], ammette la compensazione tra debito da conferimento in denaro e un preesistente credito pecuniario del socio o aspirante tale verso la società a condizione che quest’ultimo sia liquido, esigibile (è invece controverso se la stessa soluzione si possa applicare ai crediti postergati in quanto derivanti da finanziamenti soggetti all’applicazione dell’art. 2467 [25]) e contabilizzato in bilancio [26], senza la necessità di procedere alla stima ai sensi dell’art. 2465. Secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità l’estinzione del debito da conferimento in forza di compensazione sarebbe ammissibile solo in sede di esecuzione di aumento di capitale e non nell’ipotesi di esecuzione parziale dei conferimenti a copertura del capitale originario [27].
Il legislatore, per incentivare ed agevolare della copertura del capitale al momento dell’avvio dell’iniziativa economica come in sede di esecuzione dell’aumento di capitale – cfr. art. 2481-bis – consente di frazionare l’esecuzione dei conferimenti in denaro con la previsione di un versamento iniziale minimo pari al 25%, salvo l’obbligo di coprire per intero l’eventuale sovrapprezzo. L’organo amministrativo ha facoltà di richiedere in qualunque momento ai soci di versare, integralmente o in parte, le somme dovute. L’esigenza di presidiare l’effettività del capitale a fronte dell’eventuale inerzia dei soci giustifica la previsione di un rimedio speciale finalizzato a conseguire il pagamento, regolato dall’art. 2466 (trattato nel successivo § 8) e, in sede fallimentare, dall’art. 150 l.f. Il conferimento in denaro deve essere pagato obbligatoriamente in euro (con esclusione dell’ammissibilità delle c.d. criptovalute [28]) a mani dell’organo amministrativo nominato nell’atto costitutivo tramite contanti (nei limiti delle soglie fissate dalla normativa c.d. antiriciclaggio), bonifici, assegni bancari o circolari, con indicazione degli strumenti di pagamento utilizzati. Il notaio è tenuto a verificare l’avvenuto versamento in misura pari (almeno) al 25%, in difetto del quale non potrebbe redigere l’atto costitutivo in applicazione del combinato disposto degli artt. 2463, secondo comma, e 2329, n. 2), mancando una delle condizioni per la costituzione della società. L’art. 2472 completa la disciplina dei conferimenti in denaro nella prospettiva della circolazione della partecipazione: nell’ipotesi di trasferimento di una quota collegata ad un conferimento in denaro non integralmente eseguito – ovvero ad un conferimento di un bene in natura o di un credito in relazione al quale la società abbia attivato i rimedi previsti dagli artt. 2254 e 2255; v. infra – prevede la responsabilità solidale dell’alienante e dell’acquirente per il periodo di tre anni decorrenti dall’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese, fermo l’onere della società di richiedere prima il pagamento all’acquirente [29].
L’art. 2464, quarto comma, precisa che nell’ipotesi di costituzione della società con atto unilaterale i conferimenti in denaro devono essere versati integralmente; al fine di bilanciare la fruizione del beneficio della responsabilità limitata e scoraggiare un uso strumentale dello schermo societario, l’unico quotista non può frazionare l’esecuzione dei conferimenti in denaro. La disciplina non prevede espressamente un termine del versamento dei conferimenti in denaro da parte dell’unico socio nel caso in cui la società diventi unipersonale in un momento successivo rispetto alla costituzione; sulla base delle regole in punto di pubblicità previste dall’art. 2470, quarto e ultimo comma, può ragionevolmente sostenersi che l’unico quotista debba provvedere all’integrale versamento entro il termine di trenta giorni dalla variazione della compagine sociale. La conseguenza della violazione di tali disposizioni è contemplata dal secondo comma dell’art. 2462, il quale prevede, in caso di insolvenza della società, la responsabilità illimitata dell’unico quotista per le obbligazioni sorte nel periodo in cui l’intero capitale è di titolarità del medesimo. Secondo l’opinione maggioritaria l’insolvenza richiamata dall’art. 2463 – come dall’art. 2325 – non va intesa nell’accezione di cui all’art. 5 l.f., bensì come insufficienza del patrimonio sociale per il pagamento dei debiti. Sotto collegato profilo, la dottrina si è interrogata sulla necessità, ai fini dell’attivazione della responsabilità dell’unico socio, di una preventiva infruttuosa escussione del patrimonio sociale ovvero di un semplice atto di diffida e costituzione in mora; l’opinione più convincente ritiene che l’esposizione a responsabilità del socio consegua all’oggettiva insufficienza del patrimonio sociale [30], la quale potrebbe risultare dal bilancio d’esercizio. La norma prevede testualmente la responsabilità del socio per tutte le obbligazioni sociali sorte nel periodo di unipersonalità; tale lettura è stata tuttavia criticata sul presupposto che la responsabilità è connessa non al controllo totalitario tout court, bensì alla violazione delle norme [continua ..]
L’art. 3 d.l. 24 giugno 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella l. 24 marzo 2012, n. 27, ha introdotto l’art. 2463-bis sulla s.r.l. semplificata, opzione originariamente concepita per agevolare l’avvio di iniziative imprenditoriali da parte di uno o più soci persone fisiche con meno di trentacinque anni di età e successivamente estesa a tutte le persone fisiche senza limiti anagrafici ad opera dell’art. 9, tredicesimo comma, lett. b) d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito nella l. 9 agosto 2013, n. 99 [33]. In questa sede è sufficiente soffermarsi sull’art. 2463-bis, secondo comma, lett. b), disposizione che ha sostanzialmente superato l’istituto del capitale minimo in questo sotto-tipo di s.r.l. Il legislatore – richiamando l’art. 2463, secondo comma, n. 4) – ha infatti prescritto la fissazione di un capitale ricompreso tra euro uno ed euro novemila novecentonovantanove, da eseguirsi esclusivamente in denaro e versarsi per intero al momento della costituzione. Il quarto e il quinto comma dell’art. 2463, introdotti dall’art. 915-ter, d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito nella l. 9 agosto 2013, n. 99, hanno parzialmente ripreso le innovazioni sulla s.r.l.s. e quindi esteso alla s.r.l. “ordinaria” la possibilità di fissare il capitale in un importo inferiore ad euro diecimila, purché i conferimenti siano eseguiti in denaro e integralmente versati al momento della costituzione. Qualora i soci optino per la fissazione dell’importo del capitale in somma inferiore ad euro diecimila, l’ultimo comma dell’art. 2463 prescrive la formazione della riserva legale tramite la destinazione di un quinto degli utili fino a che la riserva non abbia raggiunto, unitamente al capitale, l’ammontare (complessivo) di euro diecimila. Il legislatore del 2013, da un lato, ha sostanzialmente abrogato il capitale minimo estendendo alla generalità delle s.r.l. la facoltà di dotare l’impresa di un capitale inferiore alla soglia di euro diecimila; dall’altro lato, a riprova della centralità del sistema del netto, ha codificato un principio di fungibilità tra capitale e riserva legale ai fini del raggiungimento di un tetto di patrimonializzazione minima dell’impresa, fissato nell’importo di euro diecimila. In tale ottica l’ultimo comma [continua ..]
L’art. 2464, quarto comma prescrive l’obbligo di integrale liberazione al momento della sottoscrizione della quota collegata all’apporto a capitale di un bene in natura o di un credito. La dottrina ricostruisce la portata dell’obbligo in senso giuridico – con conseguente inammissibilità di conferimenti di cose future, generiche o beni altrui: cfr. rispettivamente artt. 1472, 1378 e 1478 – come in un’accezione materiale, in quanto il bene deve essere immediatamente messo nella disponibilità o nel possesso della società conferitaria affinché possa goderne o destinarlo a scopo produttivo fin dalla costituzione della stessa (o dalla sottoscrizione della delibera di aumento del capitale) [38]. Come chiarito nel § 3, in ragione di quanto disposto dall’art. 2464, secondo comma, a differenza rispetto alle società azionarie, l’obbligo di immediata integrale liberazione non costituisce requisito dell’ammissibilità del conferimento, quanto incide sulla disciplina applicabile: l’inidoneità dell’utilità conferita ad essere trasmessa uno actu in favore della società qualifica il conferimento come apporto d’opera o servizi con conseguente applicabilità del sesto comma dell’art. 2464 ed obbligo di prestazione della garanzia (infra, § 7) [39]. In relazione al conferimento di crediti, considerata la lacunosità della disciplina, devono ritenersi analogicamente applicabili le norme di diritto comune in punto di ammissibilità, forma ed effetti della cessione dei crediti, dettate dagli artt. 1260-1265, salvo che il diritto non sia incorporato in un titolo di credito con prevalenza della disciplina cartolare [40].
L’art. 2465, primo comma, prescrive che il conferimento di beni in natura e crediti sia supportato da una relazione giurata – la cui data di riferimento, secondo la dottrina e la migliore prassi tecnica, non deve essere antecedente a centoventi giorni dalla stipula dell’atto costitutivo [41] – redatta da un revisore legale o da una società di revisione, la cui scelta è rimessa alle parti. Detta relazione (da allegarsi all’atto costitutivo e depositarsi nel registro delle imprese: art. 2330, richiamato dall’art. 2463, terzo comma) deve contenere la descrizione del bene o del credito oggetto di conferimento ed attestare che il valore effettivo dell’utilità conferita sia almeno pari a quello “negoziato” dalla società e dal socio ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale soprapprezzo, ferma invece la facoltà delle parti di imputare a capitale un valore inferiore rispetto a quello stimato [42]. La norma impone al revisore di esplicitare i criteri valutativi utilizzati, così da consentire la verifica sia della congruità metodologica della stima, sindacabile anche dal notaio [43], sia della coerenza e correttezza della valutazione rispetto alle regole e buone prassi tecniche. L’ultimo comma dell’art. 2465 richiama il secondo comma dell’art. 2343 sulle società azionarie: la natura privatistica della designazione del revisore non esclude quindi l’applicazione dell’art. 64 c.p.c., né la responsabilità del medesimo per i danni causati ai soci ed ai terzi, in ogni caso desumibile dalla clausola generale di cui all’art. 2043 [44]. Come evidenziato da tutti i commentatori fin dal 2003, l’art. 2465 non prevede, né direttamente né tramite la tecnica del rinvio all’art. 2343, alcun obbligo dell’organo amministrativo di controllare ed eventualmente rettificare la stima del revisore; inoltre la norma non regola l’ipotesi della minusvalenza del conferimento del bene o del credito rispetto al valore numerario imputato a capitale. Tali asimmetrie tra regole della s.p.a. e della s.r.l. hanno favorito un ricco dibattito sulla applicabilità analogica dell’art. 2343 alla s.r.l. nella duplice direzione della configurabilità dell’obbligo degli amministratori: (i) di verificare la [continua ..]
L’art. 2464, quarto comma, disciplina le garanzie a carico del socio che esegue un conferimento in natura tramite rinvio agli artt. 2254 e 2255, dettati in materia di rapporti tra i soci nella società semplice ma aventi portata generale in quanto richiamati dalla disciplina sulle società commerciali, sulle società per azioni e, appunto, sulla s.r.l. L’art. 2254, in relazione al conferimento di un bene in proprietà, richiama a sua volta le norme sulla vendita e quindi l’articolata disciplina dettata dagli artt. 1476 n. 3; 1478-1497; 1512-1513; 1542 in punto di garanzia per i vizi e per l’evizione. Il rinvio deve evidentemente leggersi alla luce della natura associativa del contratto di società: l’evizione o la presenza di vizi non determinano la risoluzione del contratto, bensì l’eventuale attivazione degli speciali rimedi previsti dall’art. 2466 (v. infra § 8), ovvero lo scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484, primo comma, n. 2), allorquando il bene evitto o viziato sia essenziale ed infungibile per il conseguimento dell’oggetto sociale. Il rischio del perimento della cosa è invece soggetto alla regola generale dettata dall’art. 1465, primo comma, per i contratti traslativi, laddove la disciplina codicistica della vendita si occupa del rischio solo in alcune ipotesi che paiono incompatibili con la regola dell’integrale liberazione al momento della sottoscrizione della quota (vendita con riserva della proprietà e vendita su documenti). Il secondo comma dell’art. 2254 detta una regola autonoma sul passaggio del rischio nel conferimento in godimento, che resta sempre a carico del socio. Le garanzie finalizzate a consentire l’utilizzo da parte della società del bene conferito in godimento sono invece mutuate dalla disciplina della locazione: artt. 1575, n. 3; 1578-1581; 1585 ss.). L’incidenza di fatti di impossibilità sopravvenuta sulla sfera del socio che abbia conferito beni in godimento ha indotto la dottrina ad interrogarsi sui possibili rimedi esperibili dal conferente. Anche sulla base di argomenti comparatistici desunti da diversi ordinamenti europei, in cui si prevede espressamente la conversione in denaro del conferimento in natura inattuato [51], alcuni autori hanno teorizzato l’applicabilità della medesima soluzione [52]: il socio, [continua ..]
Il secondo comma dell’art. 2465 regola gli “acquisti pericolosi” ricalcando sostanzialmente la disciplina dettata dall’art. 2343-bis, i cui ultimi due commi sono richiamati dall’art. 2465, terzo comma. L’obbligo di stima da parte di un revisore o una società di revisione – soggetto come detto all’applicazione dell’art. 64 c.p.c. – si estende anche alle operazioni di acquisto da parte della società di beni o crediti perfezionatesi con soci fondatori, soci o degli amministratori, operazioni individuate dal legislatore come “pericolose” in quanto potenzialmente elusive delle regole sulla formazione del capitale. Gli acquisti soggetti alle cautele previste dalla norma sono individuati secondo un criterio economico (il corrispettivo dell’acquisto o della cessione deve essere almeno pari al decimo del capitale) e temporale (l’operazione deve perfezionarsi entro due anni decorrenti dall’iscrizione della società nel registro imprese). La norma prevede anche una cautela di natura procedimentale: salva diversa disposizione statutaria [54], l’acquisto deve essere autorizzato con decisione dei soci ai sensi dell’art. 2479 nelle diverse modalità eventualmente previste dallo statuto. La dottrina ha messo in luce le lacune della disciplina, sia in raffronto all’art. 2343-bis, sia alla luce delle innovazioni in tema di conferimenti introdotte in materia di società azionarie. Nel primo senso un convincente orientamento rileva l’irragionevolezza del mancato richiamo del terzo comma dell’art. 2343-bis e ne sostiene l’applicabilità analogica a tutela del diritto di informazione del socio [55], valore ancor più centrale nella s.r.l. rispetto alle società azionarie. Ancora, la norma in commento non prevede alcuna deroga per gli acquisti “effettuati a condizioni normali nell’ambito delle operazioni correnti della società” o “[…] che avvengono nei mercati regolamentati o sotto il controllo dell’autorità giudiziaria o amministrativa” – ipotesi contemplate dall’art. 2343-bis, comma quarto – ciò che ha indotto alcuni autori ad argomentare l’applicazione analogica dell’esonero espressamente previsto per la s.p.a. Per ragioni di coerenza dell’art. 2465, [continua ..]
7.1. Rilievi introduttivi L’art. 2464 si discosta dalla seconda direttiva societaria in quanto non prevede il divieto di conferire prestazioni d’opera o servizi. Come è noto infatti, il combinato disposto degli artt. 7 e 9 della seconda direttiva comunitaria definisce l’ambito della conferibilità nelle società azionarie tramite due distinti precetti, uno positivo e l’altro negativo, quali l’obbligo che ogni conferimento abbia per oggetto un’entità suscettibile di valutazione economica e il divieto di conferire l’opera o i servizi. In sede di interpretazione della norma comunitaria è stato diffusamente rilevato che il divieto non scaturisce dall’obbligo, ma costituisce espressione di una regola diversa [58]. I punti condivisi sono i seguenti: a) le prestazioni d’opera e servizi sono suscettibili di valutazione economica [59] e non differiscono sotto tale profilo dalle altre utilità conferibili (materiali o immateriali); b) il divieto di capitalizzare le prestazioni di facere nelle s.p.a., non deriva dalla regola comunitaria che prescrive il requisito della suscettibilità di valutazione economica dei conferimenti, ma dal divieto espresso di conferire tali utilità (letteralmente ripreso dall’art. 2342), che risponde ad una diversa ratio. Con la previsione del divieto di conferire prestazioni d’opera e servizi il legislatore comunitario ha cioè inteso escludere la conferibilità di tali apporti non in quanto non valutabili, bensì per salvaguardare un’esigenza di certezza e di priorità cronologica dell’esecuzione del conferimento che viene ritenuta non compatibile con la natura di durata degli apporti in questione. Da tali premesse deve concludersi che l’art. 2464, secondo comma, superando il binomio di matrice comunitaria obbligo di valutabilità-divieto di conferimenti di prestazioni d’opera e servizi, ha ammesso la capitalizzazione delle prestazioni di facere in questo tipo societario. L’indipendenza concettuale del divieto di conferire l’opera e servizi in s.p.a. rispetto all’obbligo che le entità conferite siano economicamente valutabili, dimostra che – al di là della volontà del legislatore storico – la norma che [continua ..]
In materia di s.r.l. manca una disposizione omologa all’art. 2295 n. 7, la quale, per la società in nome collettivo, prescrive di indicare le prestazioni del socio d’opera. Può allora affermarsi diretta applicabilità dell’art. 2463 n. 5 (anche) ai conferimenti d’opera e servizi: l’atto costitutivo deve individuare le prestazioni capitalizzate (indicandone oggetto, durata, quantità) ed attribuire alle medesime il valore numerario in euro imputato a capitale [68]; descrizione [69] e valutazione del facere sono prescrizioni statutarie indefettibili [70] indipendentemente dalla questione della necessità della stima. Di qui l’interrogativo – assai discusso nell’immediatezza della riforma del 2003 e oramai tendenzialmente superato – se la valutazione dei conferimenti d’opera e servizi debba essere compiute da un esperto tramite una relazione giurata da allegarsi all’atto costitutivo, come statuito dall’art. 2465 per i conferimenti di beni in natura e di crediti [71]. Nell’alternativa ermeneutica tra ravvisare una lacuna legis o ritenere che il legislatore abbia inteso regolare diversamente i conferimenti di beni in natura e di crediti (soggetti all’obbligo di stima) rispetto ai conferimenti d’opera e servizi (in ipotesi esentati da tale obbligo), la prima opzione, peraltro largamente prevalente tra gli interpreti, appare preferibile. Le regole sui conferimenti delle società capitalistiche impongono che ogni utilità capitalizzata non consistente in denaro venga sottoposta a valutazione da parte di un soggetto terzo (salvo quanto previsto dall’art. 2343-ter). I conferimenti di beni in natura e di crediti, da un lato, e i conferimenti di prestazioni d’opera e servizi, dall’altro lato, in quanto aventi valore numerario opinabile, presentano rischi identici per la formazione del capitale e per la corretta informazione a beneficio del mercato e dei creditori [72]. La necessità della stima appare avvalorata da una lettura contro-intuitiva della disciplina del capitale alla luce delle innovazioni di cui all’art. 2463, quarto comma: come visto, il legislatore ammette in termini generali la s.r.l. con capitale inferiore ad euro diecimila purché i conferimenti siano effettuati in denaro. Le regole sulla formazione del [continua ..]
La dottrina si è interrogata sull’escutibilità della garanzia nelle ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione [76], non prevista espressamente dall’art. 2464. In ragione delle esigenze di tutela di effettività del capitale [77] deve ritenersi che la garanzia copra anche i fatti di impossibilità sopravvenuta della prestazione i quali implicano comunque la mancata attuazione del conferimento: il conferente non si obbliga ad effettuare un’opera o un servizio a beneficio della società alla stregua di un terzo, bensì sottoscrive una partecipazione collegata all’esecuzione di un facere a titolo di conferimento. Nella prospettiva dei conferimenti d’opera e servizi in s.r.l., in considerazione dei suoi caratteri di aleatorietà e proiezione al futuro, larga parte della dottrina ammette l’attivazione delle garanzie in relazione ai fatti di impossibilità sopravvenuta [78]. Tale soluzione appare confortata dal complessivo dell’impianto dell’art. 2464 nonché dal principio desumibile dall’art. 2254, secondo comma, prima parte: il socio di industria è tenuto a sopportare il rischio del verificarsi di fatti di impossibilità sopravvenuta della prestazione, con conseguente diritto della società di escutere la cautela [79]. Diversamente rispetto alle regole generali (artt. 1218; 1256 ss.; 1463 ss.) il verificarsi di un fatto di impossibilità sopravvenuta non ha efficacia estintiva sull’obbligazione del conferente, bensì innesca la conversione dell’obbligo di facere in una prestazione pecuniaria, che si colloca in una dimensione rimediale e risarcitoria (il punto verrà ripreso nel § 8.5).
La mancata diffusione dei conferimenti di industria ha impedito una standardizzazione delle polizze e delle fideiussioni prescritte dall’art. 2464, sesto comma: le parti sono oggi costrette a negoziare con l’intermediario bancario e assicurativo, ciò che costituisce verosimilmente uno dei fattori di insuccesso dell’istituto. In considerazione dell’esigenza di rapida e certa copertura del capitale, la garanzia a presidio del conferimento di industria è efficace solo se costruita come contratto autonomo, ma tale carattere della garanzia non è menzionato dall’art. 2464, sesto comma. Pare quindi ragionevole escludere che dalla disposizione in esame possa desumersi l’obbligo di strutturare la garanzia come autonoma [80], trattandosi invece di valutazione di opportunità rimessa alle parti [81] . Il verificarsi di un fatto di impossibilità sopravvenuta – che come chiarito infra nel § 7.3 integra uno dei presupposti dell’escussione della garanzia – consente alla società di incamerare la cauzione. Se invece il socio di industria ha prestato garanzia tramite un intermediario, anche qualora la fideiussione o la polizza di assicurazione non ne prevedano espressamente l’escussione, il garante non potrà sottrarsi al pagamento; il contratto di garanzia – anche se strutturato in modo autonomo tramite l’inserimento di clausole a prima richiesta – deve necessariamente collegarsi al rapporto fondamentale consistente nella sottoscrizione della quota e nell’assunzione dell’obbligo di conferimento da parte del socio di industria, non potendosi teorizzare ne nostro ordinamento un negozio di garanzia del tutto astratto. Dal necessario collegamento tra rilascio della garanzia ed esecuzione del conferimento discende che l’intermediario assume nei confronti della società una responsabilità pecuniaria di eguale portata rispetto a quella del socio di industria, che ricomprende sia l’inadempimento sia l’impossibilità sopravvenuta, da neutralizzarsi con i medesimi rimedi a presidio dell’effettività del capitale. Deve quindi negarsi che la sopravvenienza di un fatto di impossibilità possa essere invocata dall’intermediario quale causa di estinzione dell’obbligazione.
L’art. 2466 – rubricato mancata esecuzione dei conferimenti in luogo di mancato pagamento delle quote di cui al previgente art. 2477 – disciplina l’inadempimento del socio all’obbligo di eseguire il conferimento con la previsione di un procedimento speciale finalizzato a consentire, da un lato, alla società di conseguire l’apporto del socio inadempiente ovvero ad estrometterlo dalla compagine sociale; dall’altro lato, di adeguare il capitale nominale a quello reale. La norma ha portata generale e si applica ai conferimenti in denaro (in riferimento al capitale sottoscritto e non ancora integralmente versato); ai conferimenti di beni in natura o crediti nell’ipotesi di attivazione da parte della società conferitaria della garanzia per vizi o evizione (artt. 2254-2255) e, infine, secondo la lettura qui proposta [82], ai conferimenti di prestazioni d’opera e servizi.
L’applicabilità degli artt. 2344 e 2466 (come del previgente art. 2477) ai conferimenti non pecuniari è problema tradizionalmente studiato in relazione all’ipotesi “classica” della mancata attuazione dei conferimenti di crediti nonché di beni in natura in proprietà e in godimento; si discute in particolare se, in seguito all’infruttuosa attivazione da parte della società conferitaria delle garanzie in capo al socio mutuate dalla disciplina della cessione del credito, dalla vendita e dalla locazione (cfr. art. 2465, quinto comma), la società possa procedere alla vendita coattiva ed eventualmente all’esclusione applicando le norme per il socio c.d. moroso. Per effetto del richiamo agli artt. 2254 e 2255, la mancata attuazione dell’apporto (in conseguenza dell’evizione, del vittorioso esperimento dell’azione revocatoria ordinaria o fallimentare, dell’insolvenza del debitore ceduto) [83] o la presenza di vizi materiali o giuridici sul bene conferito autorizzano la società ad avvalersi delle garanzie e dei rimedi a presidio dell’effettivo godimento dell’utilità conferita, sicché la società matura un credito pecuniario verso il socio. La tesi estensiva si fonda sul condivisibile presupposto che le regole sul socio moroso siano funzionali alla copertura del capitale in ipotesi di mancata esecuzione dei conferimenti, indipendentemente dall’oggetto e dalla natura giuridica dell’apporto imputato a capitale.
In seguito alla costituzione della società o all’adozione della delibera di aumento di capitale a pagamento, gli amministratori godono di piena discrezionalità in ordine alla tempistica e all’entità del richiamo dei conferimenti pecuniari, salvo il rispetto di un generale principio di correttezza e parità di trattamento tra i soci; fermo tale assunto, gli amministratori hanno il dovere di attivarsi per il richiamo dei conferimenti ove la società si trovi in una situazione di tensione finanziaria, come si evince dalla disciplina dell’aumento di capitale a pagamento (artt. 2438 e 2481, secondo comma) e soprattutto dalla ricca elaborazione dottrinale sul corretto esercizio della discrezionalità degli amministratori nella costruzione della struttura finanziaria dell’impresa e sui doveri di adeguatezza, anche a fronte del manifestarsi dello squilibrio e della crisi, di cui all’art. 2086, secondo comma [84]; se le condizioni di equilibrio finanziario non si raggiungono o vengo meno, gli amministratori hanno il dovere, inter alia, di richiamare i conferimenti al fine di incrementare i mezzi propri e ridurre il ricorso all’indebitamento con i connessi costi, anche quale passaggio propedeutico alla proposta di un’operazione di aumento di capitale a pagamento (o di incremento del valore del patrimonio netto con versamenti a fondo perduto o in conto futuro aumento di capitale), ovvero all’adozione di altri interventi mirati a contrastare e superare i fattori di squilibrio dell’impresa. Il primo comma dell’art. 2466, a fronte dell’inadempimento del socio di eseguire il pagamento dovuto nel termine assegnato dagli amministratori, prevede l’invio di una diffida – nelle consuete forme della raccomandata con prova della consegna, posta elettronica certificata o atto notificato a mezzo degli ufficiali giudiziari – ad eseguire il pagamento entro il termine minimo di trenta giorni. Tale primo passaggio, come evidenziato dalla dottrina, è obbligatorio ed inderogabile anche qualora gli amministratori vogliano agire per l’adempimento e non per la vendita della quota. La giurisprudenza ha affermato in più occasioni [85] il principio per cui la mora del socio (con la conseguente preclusione all’esercizio del voto [86]) prescinde dall’invio della diffida ex art. 2344 o 2466, ma [continua ..]
La riformulazione degli artt. 2368 e 2370 ha superato alcune delle incertezze generate dal diritto previgente in ordine agli effetti della sospensione del voto sugli altri diritti del socio quantomeno in relazione alle società azionarie. La disciplina viene letta nel senso che il socio titolare di azioni prive del diritto di voto (in via generale o in vista della specifica assemblea) non può intervenire in assemblea. Tuttavia il diritto di intervento e di voto sono paralleli nella titolarità ma non nell’esercizio: l’azionista che interviene in assemblea non necessariamente esercita (in caso di astensione) o può esercitare il diritto di voto (in caso di divieto o sospensione nelle fattispecie richiamate). Sotto diverso profilo, salvo diversa disposizione legislativa, le azioni per le quali il diritto di voto non può essere esercitato – e quindi anche nei casi di sospensione del voto conseguente ad una condotta dell’azionista e non già riconducibile alla categoria delle azioni detenute – sono computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea ordinaria e straordinaria, ma non rilevano per il raggiungimento del quorum deliberativo. Di qui il rilievo, già anticipato da una parte della dottrina prima della riformulazione dell’art. 2368 [97], secondo il quale la negazione del diritto di intervento ai soci il cui voto è sospeso rischierebbe di ostacolare il funzionamento dell’assemblea e sarebbe in contrasto con l’esigenza di tutelare l’attività deliberativa dell’organo assembleare; si ritiene in conclusione che il diritto di intervento non venga meno in conseguenza della sospensione del voto a carico del socio moroso [98]. In materia di s.r.l. la dottrina è orientata per l’applicazione analogica dell’art 2368, terzo comma: la partecipazione del socio moroso deve computarsi (solo) ai fini del quorum costitutivo previsto dallo statuto o dall’art. 2479-bis, terzo comma, così da evitare che il socio non legittimato all’esercizio del voto possa condizionare l’assunzione delle decisioni dei soci nelle modalità collegiali o alternative. In merito alla portata del quarto comma dell’art. 2466, l’opinione maggioritaria ritiene che la preclusione al voto si estenda anche al diritto di intervento [99] e di prendere parte a tutti i processi [continua ..]
Si configura l’inadempimento del socio di industria ove la mancata, parziale o inesatta esecuzione della prestazione non sia riconducibile alla fattispecie dell’impossibilità sopravvenuta, indipendentemente dalla colpa del socio [101]. Rientrano quindi nel concetto di inadempimento anche le ipotesi in cui la mancata esecuzione della prestazione sia conseguenza di altri eventi attinenti alla sfera del socio di industria: esemplificativamente, esclusione, scioglimento o sottoposizione a procedura concorsuale incompatibile con l’esecuzione della prestazione. Di fronte all’inesatta o mancata esecuzione della prestazione conferita, gli amministratori devono inviare al socio una diffida alla ripresa della prestazione, con tre possibili esiti: a) il socio riprende l’esecuzione della prestazione conferita; b) il socio non riprende a svolgere l’opera o i servizi e versa alla società l’importo equivalente alla prestazione non eseguita imputata al capitale [102]; c) il socio rimane inerte. I congegni di garanzia prescritti dal sesto comma dell’art. 2464 si innestano nell’ipotesi c): gli amministratori, se la diffida alla ripresa dell’esecuzione della prestazione rimane disattesa, devono escutere la garanzia personale o reale. In questo modo il passaggio dell’avvio di un’azione giudiziaria finalizzata a conseguire il valore pecuniario equivalente al conferimento non eseguito viene rimosso e sostituito da un meccanismo stragiudiziale che consente in tempi più rapidi la copertura del capitale. Con riferimento all’ipotesi di positiva escussione della garanzia collegata al conferimento di industria l’opinione maggioritaria nega l’applicabilità del procedimento regolato dall’art. 2466 sul rilievo che tale norma sarebbe finalizzata alla copertura del capitale, obiettivo che la società perseguirebbe grazie alla garanzia [103]; il socio di industria non potrebbe subire l’esclusione legale (salva l’opzione statutaria di costruire una specifica clausola di esclusione ex art. 2473-bis) o la vendita coattiva in quanto l’escussione della garanzia impedirebbe ogni scopertura del capitale. Tale ricostruzione non appare persuasiva. È senz’altro fondato individuare la matrice storica delle regole sul socio moroso nell’esigenza di ridurre il capitale o riallinearne il valore nominale a [continua ..]
Sebbene inadempimento del socio e impossibilità sopravvenuta della prestazione conferita comportino conseguenze identiche sotto il profilo della scopertura del capitale le due fattispecie sono affatto diverse in relazione ai rapporti interni tra società e conferente ed alle implicazioni dell’attivazione delle cautele sulla posizione di quest’ultimo: la riconducibilità della mancata attuazione della prestazione ad un fatto estraneo alla sfera del socio esclude infatti l’applicabilità dell’art. 2466, norma imperniata sull’imputabilità della inattuazione del conferimento. Di qui, ipotizzando che l’escussione della garanzia vada a buon fine (o che il conferente effettui direttamente il pagamento del tantundem), la “conversione” del socio di industria in socio capitalista senza soluzione di continuità nell’esercizio dei suoi diritti patrimoniali ed amministrativi. La rilevanza applicativa della distinzione tra inadempimento e impossibilità sopravvenuta (non imputabile) rileva dunque ai fini della possibilità di vendere coattivamente la partecipazione del socio ovvero escluderlo; la funzione dell’art. 2466 di disincentivare azioni opportunistiche del socio di industria ha infatti ragione di porsi solo per scoraggiare una condotta sleale da parte del socio, mentre evidentemente non sussiste per i fatti di impossibilità sopravvenuta non imputabili, per definizione estranei alla sfera del conferente.
L’ultimo comma dell’art. 2466 estende l’applicazione dei “precedenti commi” alle ipotesi in cui la polizza fideiussoria o la garanzia bancaria prestate ai sensi dell’art. 2464 siano scadute o divengano inefficaci durante l’esecuzione della prestazione conferita. Nell’impianto dell’art. 2464 negozi di garanzia consentono di conciliare una disciplina della formazione del capitale più permissiva rispetto al passato con le inderogabili esigenze di effettività del capitale. Di qui l’attenzione del legislatore verso la sorte delle cautele e la loro efficacia, a cui risponde il meccanismo previsto dall’art. 2466, ultimo comma, il quale mitiga le possibili inefficienze della disciplina equiparando la violazione da parte del socio di industria dell’obbligo di mantenere efficace la garanzia prestata alla mancata esecuzione dei conferimenti dovuti. La norma in esame introduce quindi una fattispecie legale di esclusione (o di vendita coattiva della partecipazione) eccentrica, per cui il socio può essere estromesso dalla società anche qualora non vi sia alcun inadempimento all’obbligazione di eseguire quanto promesso a titolo di conferimento, ma sia inadempiuta l’obbligazione accessoria di prestare la garanzia, salva la possibilità del socio di industria di paralizzare la reazione della società sostituendo la garanzia inefficace o scaduta con un deposito cauzionale [109].