Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Il ne bis in idem nel sistema tributario italiano ed europeo (di Alberto Franco)


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SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. I requisiti per l’applicazione del ne bis in idem - 3. Eccezione al divieto di bis in idem: connessione temporale e sostanziale sufficientemente stretta (sufficiently close connection in substance and time) - 4. Ne bis in idem, IVA e Corte UE: il caso Menci - 5. Alcune riflessioni in relazione all’applicazione del ne bis in idem nell’ordinamento italiano - NOTE


1. Introduzione

Il ne bis in idem è da tempo un «perdurante profilo di confronto» [1] tra le Corti europee (Corte di Giustizia Europea e, soprattutto, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) e i giudici nazionali (segnatamente, Corte Costituzionale e Corte di Cassazione). Tale principio, com’è noto, si esplica nel divieto di perseguire o condannare una persona per un reato per cui è già stato assolto o condannato in seguito ad una sentenza penale definitiva [2]. Al fine dell’applicazione del divieto di bis in idem, occorre determinare se sussistono alcuni requisiti, ormai consolidati nella giurisprudenza europea: 1. natura penale delle sanzioni (da determinarsi attraverso i cc.dd. criteriEngel); 2. identità dei fatti materiali (idem) posti a base delle plurime sanzioni e dei plurimi procedimenti; 3. presenza di una decisione divenuta definitiva (passata in giudicato); 4. duplicità (bis) dei procedimenti (salvo, come si vedrà meglio in seguito, quando detti procedimenti sono sufficientemente connessi sotto il profilo sostanziale e temporale). Com’è noto, uno dei principali contesti in cui il principio del ne bis in idem trova concreta applicazione è quello tributario, in ragione del fatto che numerosi sistemi tributari nazionali prevedono un “doppio binario” sanzionatorio con riferimento agli illeciti di natura fiscale. Molto spesso, infatti, in ambito tributario gli Stati adottano un sistema sanzionatorio multilivello in relazione ad un unico illecito, cumulando sanzioni penali ed amministrative a seconda della gravità dell’illecito tributario contestato [3]. Non sorprende quindi che molte pronunce della Corte EDU, nonché della Corte di Giustizia UE, riguardino illeciti di natura tributaria, e si articolino in valutazioni non di rado complesse in merito alla compatibilità ed alla giustificazione di questa frequente interrelazione, all’interno di un medesimo ordinamento tributario, tra una pluralità di procedimenti ed una pluralità di sanzioni. Peraltro, tali valutazioni sono divenute ancor più complesse in seguito alla nota sentenza della Corte EDU A. e B. v. Norvegia del 15 novembre 2016, la quale ha introdotto il criterio della “sufficiently close connection” al fine di valutare se anche la presenza di due procedimenti sanzionatori [continua ..]


2. I requisiti per l’applicazione del ne bis in idem

2.1. Natura penale delle sanzioni In primo luogo, per aversi bis in idem non può che essere necessario che entrambe le sanzioni a cui è sottoposto il contribuente abbiano natura penale. Come già accennato nel precedente paragrafo, al fine di qualificare una sanzione come “penale” o meno non rileva (rectius, non rileva esclusivamente) la qualificazione formale che l’ordinamento ricollega ad una sanzione. Più in dettaglio, secondo la Corte EDU e la CGUE una sanzione ha natura penale se almeno uno dei seguenti criteri (cc.dd. criteri Engel, così denominati in quanto delineati per la prima volta nella sentenza Engel v. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976) risultano soddisfatti [5]: i) lo stesso ordinamento interno qualifica la sanzione come “penale”; ii) l’illecito ha natura penale in ragione della previsione di misure aventi carattere punitivo, repressivo, deterrente e non risarcitorio; iii) la sanzione è connotata da gravità e severità (valutando la sanzione massima astratta e la perdita, anche temporanea, della onorabilità dell’indivi­duo). 2.2. Identità dei fatti materiali (idem) Il secondo requisito che caratterizza l’applicazione del divieto di bis in idem è che i fatti posti alla base dei procedimenti sanzionatori siano i medesimi. Al riguardo, occorre specificare che ciò che rileva ai fini di determinare se vi sia o meno l’identità dei fatti materiali è l’idem factum, ovverosia l’identità dei fatti in senso sostanziale, e non la qualificazione giuridica delle fattispecie (idem legale) operata dall’ordinamento, che può essere anche differente. In altri termini, quindi, per applicarsi il divieto di bis in idem è rilevante non la fattispecie giuridica integrata dal soggetto, bensì che il fatto concreto preso alla base dei due procedimenti sia il medesimo. Sul punto, occorre inoltre rilevare che, quando destinatari della sanzione sono due (o più) soggetti diversi (ad esempio, società, socio e amministratore) non vi sarebbe l’idem factum, secondo quanto affermato dalla CGUE (sentenza Orsi e Baldetti del 5 aprile 2017, cause riunite C-217/15 e C-350/15) e, nell’ordinamento italiano, dalla Corte Cassazione (sentenza n. [continua ..]


3. Eccezione al divieto di bis in idem: connessione temporale e sostanziale sufficientemente stretta (sufficiently close connection in substance and time)

Importante eccezione elaborata dalla Corte EDU all’applicazione del principio del ne bis in idem si ravvisa qualora tra i due procedimenti concernenti lo stesso fatto vi sia una «sufficiently close connection in substance and time». In altri termini, quindi, è consentita una duplicità di procedimenti, e l’irro­gazione di una duplice sanzione, quando sussiste una connessione temporale e sostanziale sufficientemente stretta tra i due processi sanzionatori (c.d. criterio Nilsson). Il requisito della “connessione sostanziale” (requisito il cui onere della prova, rappresentando una eccezione al principio generale del ne bis in idem, è a carico dello Stato contraente) si può rinvenire al verificarsi di tutte le seguenti condizioni [9]: 1. i due procedimenti devono essere diretti a perseguire finalità diverse, avendo ad oggetto aspetti diversi della medesima condotta sociale; 2. la duplicità dei procedimenti deve essere una conseguenza prevedibile, in base alla legge o alla prassi, al momento della condotta; 3. i due procedimenti devono essere condotti in modo da evitare, per quanto possibile, ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, attraverso un’adeguata interazione tra le autorità competenti; 4. il procedimento che si conclude per secondo deve commisurare la sanzione da irrogare tenendo conto di quella già irrogata con il procedimento divenuto definitivo per primo, affinché la sanzione complessiva rispetti il principio di proporzionalità. In merito al requisito della “connessione temporale”, la Corte EDU non si è espressa se non “in negativo”, affermando che per aversi connessione temporale non è necessario uno svolgimento “in parallelo” dei due procedimenti, purché una certa connessione temporale sia comunque ravvisabile. Tramite l’accertamento di una sufficiently close connection, quindi, la Corte EDU mira a determinare se la risposta sanzionatoria dell’ordinamento statale «sia effettivamente il prodotto di un “sistema integrato” che consente di affrontare in modo prevedibile e proporzionato i diversi aspetti della condotta illecita, formando un insieme coerente, ed evitando che l’individuo possa essere sottoposto ad ingiustizie» [10]. Se tale risposta è affermativa, il [continua ..]


4. Ne bis in idem, IVA e Corte UE: il caso Menci

L’applicazione europea del principio del ne bis in idem in ambito europeo è particolarmente significativa se si considera l’imposta sul valore aggiunto (IVA); quest’ultima, com’è noto, è infatti un tributo europeo, sia per la fonte della sua disciplina (essa trova infatti fondamento giuridico essenzialmente nell’articolo 112 del TFUE), sia perché una quota parte del gettito è destinata al finanziamento delle politiche comunitarie, sia – aspetto particolarmente rilevante ai fini della presente disamina – in quanto la sua interpretazione pregiudiziale è rimessa alla Corte di Giustizia UE, la quale assicura l’uniformità dell’applicazione dell’imposta all’interno dell’Unione evitando così discriminazioni che avrebbero l’effetto pratico di alterare la concorrenza tra gli Stati [12]. Alla luce di quanto appena esposto, è chiaro come anche le questioni relative all’applicabilità del ne bis in idem in materia di IVA riguardino la Corte di Giustizia UE, la quale ha avuto modo di pronunciarsi più volte. Tra le pronunce più significative occorre rammentare innanzitutto la sentenza Fransson del 26 febbraio 2013 (causa C-617/10), nonché la sentenza Menci del 20 marzo 2018 (causa C-524/15); quest’ultima è particolarmente rilevante ai fini del presente contributo in quanto concerne espressamente il sistema sanzionatorio in materia di IVA previsto dall’ordinamento italiano. Nelle sentenze sopra citate, la Corte di Giustizia si trova a dover operare un bilanciamento tra diversi principi del diritto dell’Unione. Infatti, come già ricordato il principio del ne bis in idem, oltre che nel Prot. n. 7, art. 4 della CEDU, trova spazio anche nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e quindi ha una solida base normativa nel diritto dell’Unione. Ciò nondimeno, il TFUE prevede, all’art. 325, che gli Stati membri debbano contrastare la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione (segnatamente, il gettito IVA) «mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi [continua ..]


5. Alcune riflessioni in relazione all’applicazione del ne bis in idem nell’ordinamento italiano

Le recenti pronunce della Corte EDU e della CGUE, e i criteri in queste espressi, appaiono particolarmente incisive in relazione all’ordinamento italiano, poiché «alla luce dell’interpretazione espressa dalla giurisprudenza europea, è fuori discussione la “sostanziale” natura penale di pressoché tutte le sanzioni amministrative tributarie italiane in materia di imposte dirette e sul valore aggiunto […], vuoi per le loro finalità deterrente ed afflittiva, vuoi per la matrice penalistica del sistema normativo concernente dette sanzioni, vuoi per il relativo elevato ammontare» [15]. Infatti, come rilevato da autorevole dottrina, per effetto di quanto appena descritto il tema del ne bis in idem nell’ordinamento italiano viene a riguardare tutti i reati tributari aventi per oggetto condotte sostanzialmente sovrapponibili a quelle sanzionate anche sul piano amministrativo [16]. Ci si riferisce in particolare a diverse condotte: – le condotte di omesso versamento (sanzionate penalmente dagli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. n. 74/2000 e in via amministrativa dall’art. 13 del d.lgs. n. 471/1997); – le condotte di indebita compensazione (sanzionate penalmente dall’art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000 e in via amministrativa dal medesimo art. 13 del Decreto n. 471/1997); – l’occultamento e la distruzione delle scritture contabili (sanzionate penalmente quale mancata conservazione della contabilità ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. 74/2000 e in via amministrativa dall’art. 9 del d.lgs. n. 471/19979; – le condotte di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione (sanzionate penalmente dagli artt. 5, commi 1 e 2, 4, 2 e 3, d.lgs. n.74/2000 e in via amministrativa dagli artt. 1, 2 e 5 del Decreto n. 471). Nondimeno, occorre osservare che, se si esamina la struttura del sistema sanzionatorio amministrativo tributario nel d.lgs. n. 471/1997, pare piuttosto evidente come vi sia una finalità primaria non certo di carattere ripristinatorio, bensì deterrente e “sostanzialmente” penale. Invero, ci si può effettivamente interrogare se in talune fattispecie, ad e­sempio nell’ipotesi ad esempio di omesso versamento, la misura della sanzione generalmente pari al 30%, in quanto relativamente “ridotta” rispetto ad altri illeciti (ad [continua ..]


NOTE