Lo scritto offre un’approfondita trattazione degli strumenti adottati dalle imprese agro-alimentari per valorizzare e promuovere i loro prodotti. In tale prospettiva di analisi, preliminarmente, l’autore illustra e definisce il concetto di qualità, per poi soffermarsi sui c.d. “segni di qualità”, distinti in cogenti e volontari. Da ultimo, alla luce degli strumenti illustrati, l’autore fornisce alcuni interessanti casi pratici, avuto riguardo al contesto sia nazionale, sia mondiale.
The paper offers an in-depth discussion of the tools adopted by agri-food companies to enhance and promote their products. In this perspective of analysis, first of all, the author illustrates and defines the concept of quality and, then, he focuses on the so-called “signs of quality”, divided into mandatory and voluntary. At the end, in the light of the tools illustrated, the author provides some interesting practial cases, having regard to both the national and global context.
1. Introduzione - 2. Il concetto di qualità - 3. La definizione di qualità: una proposta [7] - 4. “Segni di qualità” cogenti e volontari - 5. Prodotti DOP, IGP e STG - 6. Prodotti Agroalimentari Tradizionali - 7. Conclusioni - 8. Ringraziamenti - 9. Bibliografia - NOTE
Le imprese agro-alimentari dispongono di numerosi strumenti per valorizzare e promuovere le loro produzioni. Presupposto della tutela è la certificazione della presenza di caratteristiche qualitative del “sistema azienda” nel suo complesso e/o dello/degli specifico/specifici output aziendale/i. Questo studio, dopo avere esaminato il concetto di qualità ed averne proposta una definizione, desidera presentare in concreto la diffusione nel mondo ed in Italia di alcuni “segni di qualità” previsti dal Legislatore unionale (Denominazione di Origine Protetta – DOP –, Indicazione Geografica Garantita – IGP – e Specialità Tradizionale Garantita – STG) e di un “segno di qualità” disciplinato dal Legislatore italiano (Prodotti Agroalimentari Tradizionali – PAT).
Le imprese agro-alimentari possono utilizzare diversi strumenti per valorizzare le caratteristiche qualitative dei loro prodotti. Prima di entrare nel merito di alcune di queste fattispecie, pare importante introdurre il concetto di “qualità” che, nel tempo, ha assunto significati ed applicazioni alquanto differenti e che, oggi, è il presupposto per tutelare le produzioni. Dagli anni Sessanta del secolo scorso ad oggi, sono numerosi i marchi, sia del settore alimentare [1], sia di quello non alimentare [2], che hanno fatto uso (ed abuso) dell’utilizzo del termine “qualità”, per indicare caratteristiche qualitative positive dei loro prodotti o le ricadute che l’utilizzo di questi può avere per migliorare la qualità della vita dei consumatori [3]- [4]. Anche se la “qualità” è da sempre considerata uno dei caratteri dominanti di una marca, alcuni autori [5] affermano che le aziende, negli ultimi tempi, non associano tale termine (“qualità”) al proprio marchio per non incorrere in un’operazione tautologica, nel senso che oramai, il consumatore considera che il veicolare mediante uno spot la presenza di “qualità” sia un’affermazione prevedibile e sottintesa, al pari di una promessa ingenua. Secondo il consumatore, pertanto, la qualità è «il minimo che un’impresa possa garantire». Istintivamente siamo soliti associare il termine qualità a caratteristiche positive delle merci cui questa parola fa riferimento. Se, tuttavia, consultiamo un dizionario della lingua italiana ci accorgiamo che il vocabolo, in realtà, è neutro nel senso che per “qualità” si deve intendere la «Nozione alla quale sono riconducibili gli aspetti della realtà suscettibili di classificazione o di giudizio» [6]. Ben si comprende, quindi, che la locuzione “qualità” non è sinonimo di eccellenza ma che, a seconda della valutazione o del giudizio che si dà all’oggetto (materiale o immateriale) cui fa riferimento, essa può risultare “eccellente” o assumere un significato totalmente opposto.
Per la definizione di qualità, alcuni autori [8] hanno valutato, già mezzo secolo fa, sia le dimensioni qualitative “oggettive”, relative a caratteristiche fisiche, chimiche etc., sia altre caratteristiche “soggettive”, riguardanti ciò che è percepito dai consumatori. Altri studiosi [9] hanno elaborato il concetto di qualità percepita intesa come una mediazione tra le caratteristiche del prodotto e la percezione di queste da parte del consumatore. In questo contesto, si desidera proporre una suddivisione degli attributi oggettivi e di quelli soggettivi di una merce che innova parzialmente quanto scritto in passato [10]– [11]– [12] e si vuole presentare, quindi, una somma pesata per valutare le caratteristiche qualitative di un alimento da parte di un consumatore medio. Dal punto di vista degli Operatori del Settore Alimentare, la qualità “totale” di un alimento può essere stimata in considerazione delle sue caratteristiche merceologiche, che derivano dal rispetto della normativa cogente (qualità legale) e da scelte discrezionali dell’azienda produttrice (qualità volontaria). Gli attributi attestanti qualità oggettive, variando osservatore, non cambiano poiché sono il risultato di una verifica fondata sulla presenza: di elementi oggettivamente riscontrabili (ad esempio, per un alimento, la caratteristica qualitativa “sicurezza igienico-sanitaria”[13]; i valori nutrizionali; gli aspetti sensoriali, le caratteristiche tecnologiche [14]; la qualità d’uso o di servizio [15]) e/o di altri “segni di qualità” derivanti dal conseguimento di certificazioni riconosciute in ambito nazionale, Ue ed anche extra-Ue[16]. Il consumatore, però, quando valuta la qualità totale di una merce, deve saper identificare le caratteristiche qualitative di questa (non è detto che le percepisca tutte) e, contestualmente, ne fa un apprezzamento soggettivo, riconducibile a tutti gli aspetti emozionali legati all’acquisto ed al consumo della merce. Il consumatore valuta singolarmente tutte le caratteristiche qualitative, comprese quelle che l’OSA ritiene oggettive [17] e le inserisce in una soggettiva scala dei valori (per gli alimenti, ad esempio, Tizio dimostra interesse nei confronti dell’indicazione dei valori [continua ..]
I “segni qualità” cogenti discendono dalla cosiddetta “qualità legale” che fa riferimento alle caratteristiche qualitative che caratterizzano il sistema azienda e/o il suo output aziendale, conseguentemente al rispetto di una normativa imposta dal Legislatore. Si pensi, ad esempio, alla normativa sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro; alle normative ambientali; ad eventuali specifiche norme settoriali; alla normativa sulla sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti; alla rintracciabilità degli alimenti e dei mangimi; alla normativa doganale ed alla disciplina sulla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori. I “segni di qualità” volontari sono riconosciuti attraverso lo strumento della certificazione che è molto utilizzato dalle aziende e, negli anni, si è largamente diffusa nel mondo. Per certificazione di qualità si intende una procedura con cui una parte terza, l’ente di certificazione, fornisce un’assicurazione scritta che il prodotto o il servizio o il processo è conforme ai requisiti specificati. Si tratta, quindi, di uno strumento informativo grazie al quale le organizzazioni manifestano alcune caratteristiche qualitative del loro sistema aziendale e/o dei loro prodotti/servizi. Esse assicurano il rispetto da parte di imprese, di organizzazioni pubbliche e di professionisti dei requisiti previsti dalle norme e dagli standard internazionali con riferimento alla conformità di prodotti, di servizi, di processi di sistemi e di persone. Con riferimento ai consumatori, esse risultano particolarmente efficaci nei confronti delle cosiddette experience goods [21] [22], merci le cui caratteristiche qualitative non possono essere riscontrate prima dell’acquisto, ma solo dopo il consumo. Grazie alla certificazione, la garanzia della presenza di determinate caratteristiche qualitative è assicurata dall’intervento di un ente di certificazione, che funge da garante. L’organismo certificatore, parte terza rispetto all’operatore che richiede la certificazione, ha le conoscenze e le competenze per valutare la rispondenza tra prodotto/servizio e standard richiesto dalla certificazione. I certificati, infatti, sono rilasciati esclusivamente da enti accreditati e cioè pubblicamente riconosciuti idonei al rilascio di certificazioni di qualità e solo qualora questi riscontrino [continua ..]
Secondo l’approccio del nord della Ue, il concetto di “qualità delle produzioni agro-alimentari” è essenzialmente legato al rispetto delle caratteristiche igienico-sanitarie dell’alimento ed alle sue peculiarità nutrizionali. Di diverso avviso, invece, sono i Paesi dell’area mediterranea della Ue, che racchiudono in tale espressione anche la presentazione del prodotto, il talento dell’uomo coinvolto nel processo produttivo, l’origine geografica, la tradizionalità delle metodiche di produzione etc. [29] In ambito unionale, quindi, l’interpretazione portata dai Paesi del Nord ha favorito la normativa cogente in materia di igiene della produzione e della commercializzazione degli alimenti, mentre quella data dall’area mediterranea ha supportato la definizione di certificazioni volte ad attestare l’origine geografica del prodotto agro-alimentare. Il consumatore, infatti, mostra sempre più interesse nei confronti di prodotti connotati da tali caratteristiche qualitative. I prodotti agricoli ed agro-alimentari sono disciplinati dal regolamento (Ue) n. 1151/2012 che rappresenta l’ultima tappa di un percorso iniziato nel 1992 con i regolamenti (Cee) n. 2081 e n. 2082, il primo riguardante le DOP e le IGP, il secondo le STG, rispettivamente abrogati nel 2006, dai regolamenti (Ce) n. 510 (sulle DOP e sulle IGP) e n. 509 (sulle STG). Il regolamento del 2012 specifica che: Denominazione di Origine «è un nome che identifica un prodotto: a) originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un Paese determinati; b) la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani; e c) le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata»; Indicazione Geografica: «è un nome che identifica un prodotto: a) originario di un determinato luogo, regione o Paese; b) alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità; la reputazione o altre caratteristiche; e la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata»; un nome è ammesso a beneficiare della registrazione come Specialità Tradizionale Garantita se «designa uno specifico prodotto o alimento: a) ottenuto con un metodo di produzione, [continua ..]
In ambito nazionale, il d.lgs. 30 aprile 1998, n. 173, art. 8, c. 1, ponendo come obiettivo la “valorizzazione del patrimonio enogastronomico” delle Regioni italiane, ha introdotto nell’ordinamento italiano la categoria dei Prodotti agro-alimentari tradizionali (PAT). Il d.m. 8 settembre 1999, n. 350 ha istituito, poi, il regolamento per la loro individuazione. Con questo strumento, il Ministero ha voluto introdurre un riconoscimento per prodotti agro-alimentari, caratterizzati da una consolidata e costante tradizione locale. Questo Elenco è stato predisposto anche per arrestare il fenomeno della scomparsa di produzioni agro-alimentari di pregio e per offrire ad alcuni prodotti la possibilità di accedere a deroghe sanitarie che consentano la conservazione di antichi metodi produttivi. In altri casi, l’iscrizione può rappresentare il primo passo per ottenere l’attestazione comunitaria DOP o IGP. Entro il 12 aprile 2000, le Regioni e le Province autonome hanno trasmesso al Ministero il primo elenco dei prodotti tradizionali. Sul supplemento ordinario n. 9 della Gazzetta Ufficiale 20 febbraio 2020, n. 42, è stata pubblicata la ventesima revisione dell’elenco dei PAT. L’Elenco annovera 5.266 PAT. La Campania detiene il primato con 552 PAT, mentre al secondo posto si colloca con 461 prodotti la Toscana, seguita da Lazio (436), dall’Emilia Romagna (398) e dal Veneto (380).
Le certificazioni attestanti caratteristiche qualitative dell’azienda nel suo complesso e/o del/i suo/i output sono sempre più diffuse anche per permettere agli operatori del settore di contraddistinguere le proprie produzioni rispetto a quelle della concorrenza. Se è vero che le certificazioni di qualità attestano caratteristiche qualitative oggettivamente riscontrabili e diverse a seconda dello strumento certificativo, è parimenti certo che la qualità percepita dai consumatori può differire da quella effettiva e certificata. È per tale motivo che pare opportuno che le istituzioni e gli Operatori del Settore Alimentare investano anche nell’informazione e nella formazione dei consumatori perché questi “segni” divengano sempre più riconoscibili e consentano, da un lato, scelte oculate e, dall’altro, contribuiscano alla promozione di alimenti di eccellenza legati a determinati territori di produzione.
L’autore ringrazia i revisori anonimi per i suggerimenti che hanno permesso di migliorare questo lavoro ed il prof. Luigi Bollani, docente di statistica, per il prezioso aiuto nel declinare con una formula il “concetto di qualità” proposto in questo lavoro.
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