Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Continuità aziendale, crisi ed insolvenza, nella loro dimensione evolutiva e (spesso) degenerativa (di Luciano M. Quattrocchio-Federica Bellando)


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SOMMARIO:

1. La nozione di continuità aziendale e la sua base normativa - 2. La definizione di crisi ed insolvenza nell’ambito della disciplina concorsuale - 3. Il Documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti “Crisi d’impresa. Strumenti per l’individuazione di una procedura d’allerta” (Gennaio 2005) - 4. Crisi e insolvenza nel Disegno di Legge Delega delineato dalla Commissione Rodorf - 5. Le relazioni tra continuità aziendale, crisi e insolvenza - 6. Il ruolo degli organi di controllo nella crisi d’impresa - 7. Conclusioni - NOTE


1. La nozione di continuità aziendale e la sua base normativa

La continuità aziendale, ossia la capacità dell’impresa di operare come entità in funzionamento, è considerata sia dal codice civile sia dai principi contabili nazionali ed internazionali il presupposto imprescindibile e propedeutico alla predisposizione del bilancio d’esercizio nella prospettiva della continuazione aziendale. In particolare, l’art. 2423-bis, comma 1, c.c. afferma che «la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività», mentre, per quanto concerne la disciplina del principi contabili nazionali, l’OIC 1 chiarisce il concetto di “funzionalità economica”, che rappresenta un postulato della stessa rilevanza gerarchica del princi­pio della prudenza e della continuità aziendale. A livello internazionale, invece, lo IAS 1 “Presentazione del Bilancio” (§§ 13, 23 e 24) affronta la tematica del going concern, disponendo che, nel processo di redazione del bilancio, sia valutata la capacità dell’impresa di continuare ad operare come entità in funzionamento, rilevando dunque, in modo inequivocabile, come la continuità aziendale stessa sia incompatibile con l’intenzione o la necessità di liquidare o interrompere l’attività della società. Nell’ambito della disciplina nazionale (art. 2423-bis, comma 1, n. 1, c.c. e OIC 29), si individua nella continuità aziendale un vero e proprio principio di redazione del bilancio, che comporta la necessità di verificare la persistenza della prospettiva di continuità e di ricondurre all’esito di tale verifica la scelta dei criteri di valutazione da applicare nella rappresentazione di bilancio. Sulla base di tale presupposto, l’impresa viene normalmente considerata atta a svolgere la propria attività in un prevedibile futuro, intendendo cioè che non vi sia né l’intenzione o la necessità di metterla in liquidazione, né di cessare l’attività o di assoggettare l’azienda a procedure concorsuali, come previsto dalla legge o dai regolamenti. Pertanto, le attività e le passività vengono contabilizzate in base alla circostanza che l’impresa sia in grado di realizzare le prime e far fronte alle seconde durante il normale svolgimento [continua ..]


2. La definizione di crisi ed insolvenza nell’ambito della disciplina concorsuale

Come è noto, la crisi d’impresa è il presupposto oggettivo per l’accesso alla procedura di concordato preventivo o per la presentazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti. In particolare, l’art. 160, comma 1, l.f. stabilisce che: «L’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo […]», mentre l’art 182-bis l.f. precisa che: «L’imprenditore in stato di crisi può domandare […] l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti […]». Poiché il legislatore concorsuale non fornisce una definizione di “crisi”, limitandosi ad affermare (art. 160, comma 3, l.f.) che «per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza» e che (art. 5 l.f.) l’insolvenza «si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni», occorre fare rinvio alla nozione aziendalistica (v. infra). In particolare, si può ritenere che lo stato di insolvenza costituisca una degenerazione dello stato di crisi, in corrispondenza del quale – lo stato di insolvenza – viene meno la possibilità di risanare l’impresa salvaguardandone la continuità gestionale, provocandosi il progressivo dissolvimento del­l’impresa. Come suggerito dalla dottrina aziendalistica, la crisi determina l’“inca­pacità corrente dell’azienda di generare flussi di cassa, presenti e prospettici, sufficienti a garantire l’adempimento delle obbligazioni già assunte e di quelle pianificate”. Ma, mentre l’insolvenza rappresenta certamente una situazione di crisi, non è detto che la crisi coincida con l’insolvenza o si traduca in essa. Infatti, l’azienda può affrontare più momenti di difficoltà, anche profondi, ma non necessariamente strutturali o definitivi, né tantomeno tali da intaccare la solvibilità, tant’è che in dottrina sono stati identificati diversi stati di crisi in cui solamente l’ultimo stadio presuppone una situazione di crisi “irreversibile” quale è l’insolvenza. Fatte queste doverose premesse, si evince come la crisi e l’insolvenza, più che fasi [continua ..]


3. Il Documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti “Crisi d’impresa. Strumenti per l’individuazione di una procedura d’allerta” (Gennaio 2005)

3.1. Squilibrio e crisi La vita delle imprese è caratterizzata da un’alternanza di periodi di successo e di insuccesso, ai quali le imprese solide sono peraltro abituate, senza che ciò generi allarmismi particolari, laddove la fase negativa risulti adeguatamente prevista nel normale processo di programmazione aziendale di lungo termine. È normale, peraltro, che ogni specifica attività economica, dopo un periodo più o meno lungo di funzionamento, giunga, per motivi di vario tipo, alla fase di cessazione. A caratterizzare precipuamente tali cessazioni possono concorrere ragioni di vario genere, riconducibili sia all’andamento tecnico-economico dell’im­presa (motivi aziendali) sia a circostanze non direttamente correlate all’an­damento aziendale (ad esempio, eventi extra-aziendali di tipo legale o politico). In questa prospettiva è possibile distinguere tra: cause aziendali fisiologiche di cessazione; cause aziendali patologiche di cessazione. Con riguardo all’ambito amministrativo-gestionale, tra le varie cause di cessazione, assumono particolare rilevanza le tematiche legate alla disfunzione aziendale, cui ci si riferisce più comunemente con la locuzione “crisi di impresa”. Generalmente, con tale espressione s’intende fare riferimento a una manifestazione di tipo patologico che, partendo da fenomeni di squilibrio e/o di inefficienza interni o esterni, genera la perdita di valore economico dell’impresa. Può affermarsi, pertanto, che l’impresa si trova in una situazione di crisi irreversibile allorquando non sia in grado di operare secondo condizioni di economicità, con relativa incapacità di perseguire equilibri di natura economica, finanziaria e patrimoniale. La mancata produzione di utili, pur essendo un elemento significativo circa lo stato dell’impresa, deve essere considerata unitamente ad altri indicatori. Solo quando le cause da cui deriva un processo di crisi siano tali da impedire il ritorno ad una condizione di equilibrio, gli squilibri in atto si tramutano in vere e proprie criticità strutturali, sulle quali occorre intervenire ricorrendo a specifici strumenti correttivi. In definitiva, la crisi può essere definita come una manifestazione di tipo patologico, originata da squilibri ed inefficienze di origine interna o esterna all’impresa, manifestazione che si sviluppa [continua ..]


4. Crisi e insolvenza nel Disegno di Legge Delega delineato dalla Commissione Rodorf

La recente approvazione definitiva alla Camera del Disegno di Legge 3671-bis contenente la delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza costituisce un passo fondamentale dell’iter avviato con la costituzione della Commissione Rordorf. Il contenuto del Disegno di Legge, per quanto attiene il concetto di crisi ed insolvenza, si propone di apportare le seguenti principali modifiche, sinteticamente enunciate: • in primis, sostituire il termine “fallimento” con un’espressione equivalente quale “insolvenza” o “liquidazione giudiziale”; • introduzione di una definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza, mantenendo tuttavia l’attuale nozione di insolvenza di cui all’art. 5 l.f.; • dare priorità di trattazione alle proposte di superamento della crisi che assicurino la continuità aziendale. Uno punti focali del Disegno di Legge per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, approvato alla Camera, è la tutela della continuità aziendale. È proprio in questo contesto che si inserisce la maggiore novità, ovvero l’istituto dell’allerta destinato a far emergere col maggiore anticipo possibile le situazioni di crisi aziendali rispetto al loro irreversibile conclamarsi.


5. Le relazioni tra continuità aziendale, crisi e insolvenza

5.1. Premessa Al fine di verificare le relazioni intercorrenti tra i concetti precedentemente enunciati, pare opportuno esaminare gli aspetti di seguito indicati: • la continuità aziendale in presenza di uno stato di crisi; • la continuità aziendale al verificarsi di una situazione di insolvenza; • la discontinuità aziendale senza che vi sia stata crisi o insolvenza; • la discontinuità aziendale in presenza di crisi o insolvenza. In tale prospettiva, può essere utile rappresentare tali relazioni facendo uso del diagramma di Eulero-Venn. 5.2. La continuità aziendale in presenza di uno stato di crisi Con riferimento all’analisi del primo punto relativo al mantenimento del presupposto della continuità aziendale, seppur al verificarsi di uno stato di crisi, si farà riferimento, tra gli istituti di soluzione negoziale della crisi d’impresa, alla disciplina del concordato con continuità aziendale, ex artt. 161 e 186-bis l.f., il cui presupposto oggettivo – al pari del concordato preventivo liquidatorio – è costituito dallo stato di crisi (l’art. 186-bis, comma 1, l.f. rinvia all’art. 161, comma 2, lett. e), l.f.). Il concordato con continuità aziendale, ex art. 186-bis l.f. presuppone che lo “stato di crisi” del debitore possa essere superato mediante la prosecuzione dell’attività d’impresa, in capo al medesimo debitore oppure ad un soggetto terzo. In particolare, l’art. 186-bis, comma 1, l.f. prevede che il concordato con continuità aziendale possa assumere tre distinte configurazioni tipiche: quella del concordato con continuità pura o diretta, nel quale l’impresa viene perdurantemente gestita, sia prima sia dopo l’omologa, dallo stesso debitore; e quelle in cui, dopo un’iniziale gestione in proprio da parte dello stesso debitore durante il procedimento concordatario, l’azienda in esercizio viene infine ceduta o conferita a soggetto terzo (continuità indiretta). Ai fini dell’ammissibilità del concordato con continuità aziendale è necessario che concorrano due diverse circostanze oggettive: in primo luogo, il piano deve contemplare esplicitamente la continuità d’impresa e l’attesta­zione che lo accompagna deve precisare [continua ..]


6. Il ruolo degli organi di controllo nella crisi d’impresa

6.1. Il ruolo del collegio sindacale Il collegio sindacale, nello svolgimento delle funzioni ad esso attribuite dalla Legge, vigila, ai sensi dell’art. 2403 c.c., sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile alla natura e alle dimensioni dell’impresa. Pertanto, benché l’adozione di assetti adeguati sia compito dell’organo am­ministrativo, al collegio sindacale spetta vigilare che tali assetti risultino adeguati sotto un profilo informativo e procedurale, anche al fine di rilevare in modo tempestivo segnali che possano far emergere dubbi sulla capacità del­l’impresa di poter continuare ad operare nella prospettiva della continuità. A tal fine, risulta fondamentale lo scambio di informazioni con il soggetto incaricato della revisione legale dei conti, a norma del dettato previsto dall’ISA 570 relativo alla continuità aziendale di cui si è detto nei paragrafi precedenti. Ogni qualvolta il collegio sindacale, in seguito allo scambio di informazioni con il revisore, ritenga che il sistema di controllo interno e gli assetti non risultino adeguati per rilevare repentinamente segnali che possano far emergere dubbi significativi sulla capacità dell’impresa a continuare ad operare come entità in funzionamento, è opportuno che richieda all’organo amministrativo di fornire informazioni e chiarimenti, nonché di intervenire tempestivamente ponendo in essere dei provvedimenti idonei a garantire la continuità aziendale nel caso di conferma dei dubbi o di insufficienti informazioni e chiarimenti da parte degli amministratori; successivamente, il collegio sindacale vigila sull’attuazione dei provvedimenti adottati dall’organo amministrativo, sollecitando, nel caso, l’adozione di uno degli istituti di composizione negoziale della crisi. Il Legislatore ha pertanto delineato un controllo interno che, basandosi su un sistema che abbandona il concetto di verifica ex post, privilegia l’ado­zione di strumenti organizzativi capaci di rilevare tempestivamente ed in via preventiva il rischio sulla base di quelle che sono le dimensioni e la tipologia di attività di impresa, permettendo così di riconoscere l’imminenza della crisi. Considerata la rilevanza degli assetti in un’ottica di prevenzione [continua ..]


7. Conclusioni

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, è possibile trarre le seguenti conclusioni: • discontinuità, crisi e insolvenza sono – in generale – situazioni autonome e distinte, e non necessariamente consequenziali; • la crisi, prima, e l’insolvenza, poi, non sono quindi necessariamente fasi evolutive della discontinuità aziendale, ma possono essere fasi degenerative; • il legislatore, in ambito sia societario sia concorsuale, ha privilegiato la conservazione dei complessi aziendali prevedendo un’ampia varietà di strumenti, che vanno dall’esercizio provvisorio nella fase liquidatoria all’eserci­zio provvisorio e alla cessione universalistica in sede fallimentare, passando attraverso il concordato con continuità aziendale; • pur con tale favor legislativo, occorre sottolineare che l’azienda – intesa come complesso di beni e di rapporti funzionalmente destinati – ha una vitalità che dipende dal suo esercizio, e quindi l’inattività conduce rapidamente al suo dissolvimento; • in definitiva, sebbene – come si è detto – la discontinuità, la crisi e l’in­solvenza non siano necessariamente fasi consequenziali, l’interruzione del­l’attività determina perlopiù un passaggio indefettibile tra le stesse.


NOTE