Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

02/05/2021 - Sui rapporti tra il delitto di rimozione o omissione dolosa di cautele (art. 437 c.p.) e lesione colposa.

argomento: News del mese - Diritto Penale

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Con sentenza n. 7939 del 1° marzo 2021 (ud. 25 novembre 2020), la Quarta Sezione della Suprema Corte ha ribadito che «In materia di prevenzione di infortuni sul lavoro, in caso di lesioni personali colpose derivanti dall’omessa adozione delle cautele necessarie ad eliminare la pericolosità di un macchinario, deve escludersi il rapporto di specialità tra la disposizione di cui all’art. 437 cod. pen. - che prevede il delitto di rimozione od omissione dolosa di cautele - e quella di cui all’art. 590, secondo comma, cod. pen., mancando un rapporto di continenza tra tali norme, per la diversità, nei due reati, dell’elemento soggettivo (dolo nel primo caso e colpa nel secondo), della condotta (non essendo inclusa nello schema legale del primo la condotta costitutiva del secondo) e dell’evento (costituito, nel primo caso, dal comune pericolo di disastro o di un infortunio - il cui effettivo verificarsi non è elemento costitutivo del reato medesimo perché costituisce ove si realizzi, circostanza aggravante - e dalle lesioni nel secondo caso)». Inoltre, la Suprema Corte ha sottolineato che nell’ipotesi delittuosa descritta dall’art. 437 cod. pen. è «proprio l’astratta potenzialità della condotta a determinare una situazione di pericolo per una pluralità di persone - ancorché numericamente e spazialmente determinata - che contraddistingue l’anticipazione della punibilità alla minaccia del danno all’incolumità fisica, poiché altrimenti, in assenza della dimensione pubblica del pericolo, si finirebbe con il considerare punibile un comportamento specificamente rivolto ad omettere, escludere o rimuovere cautele finalizzate alla tutela di un lavoratore determinato, mutando il bene giuridico tutelato anziché nella salute pubblica, nel senso di ‘collettiva’ e plurale, pur nei limiti indicati, in quella individuale. Ad escludere una simile lettura, oltre alla collocazione del reato fra i delitti contro la pubblica incolumità, concorre la previsione del secondo comma della disposizione di cui all’art. 437 cod. pen. che chiarisce come il prodursi dell’evento, quale concretizzazione del pericolo sanzionato dal primo comma, costituisca un aggravamento del reato anche qualora ne derivi ‘un infortunio’, cioè un evento dannoso che può riguardare un singolo individuo. L’utilizzo dell’articolo indeterminativo “un” anziché di quello determinativo assume un significato esegetico preciso, posto che laddove il primo comma fosse riferito alla tutela del singolo e non della collettività, il legislatore penale avrebbe posto in relazione il secondo comma con il primo facendo ricorso alla locuzione aggettivale ‘l’infortunio’. Cioè proprio quell’unico specifico evento temuto e descritto dal primo comma. La precisa scelta linguistica, nondimeno, contribuisce a spiegare che il pericolo di mettere a repentaglio l’incolumità di più persone - di per sé sanzionato - può, in concreto, realizzarsi anche con la produzione di un danno nei confronti di uno solo dei soggetti esposti al rischio, non essendo necessario che esso coinvolga la salute pubblica, ben potendo la minaccia del bene collettivo trasformarsi nella realizzazione di un evento che coinvolge l’individuo. Il che rende evidente la distinzione fra la condotta pericolosa, riguardante la collettività, e l’evento dannoso configurabile anche nei confronti del singolo».