Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

14/11/2019 - La sottrazione fraudolenta delle imposte: il profitto del reato coincide con il patrimonio sottratto

argomento: News del mese - Diritto Tributario

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Nel caso del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11 del d.lgs. 74/2000, il profitto del reato non viene identificato con il debito tributario evaso ma bensì con il patrimonio sottratto alla garanzia dell’Erario. Pertanto, come ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32018 depositata il 18 luglio 2019, il sequestro preventivo non potrà gravare sull’intero debito tributario ma sulle somme sottratte a garanzia. Nel caso di specie due coniugi proprietari di una pizzeria, unitamente ad altri familiari, gestivano una serie di società operanti in successione tra loro, secondo uno schema fraudolento che prevedeva di non versare al fisco quanto dovuto e, prima che l’accertamento tributario divenisse esecutivo, l’azienda-pizzeria veniva trasferita ad altra società, di modo che la prima, indebitata gravemente, finiva in decozione, svuotata del ramo d’azienda produttivo e del denaro. Il GIP del Tribunale di Bologna aveva convalidato il sequestro delle quote di tutte le società oggetto del provvedimento cautelare d’urgenza ed anche dei tredici immobili di proprietà della moglie dell’imprenditore, acquistati, secondo l’accusa, tra il 2003 ed il 2017 con il profitto del reato di sottrazione al pagamento delle imposte e con i proventi dei reati di bancarotta. I Giudici del Riesame avevano annullato in parte l’ordinanza di sequestro degli immobili acquistati dopo il 2010 poiché ritenuti non collegabili da vincolo di pertinenzialità e frutto di acquisto verosimilmente lecito. Secondo la Suprema Corte l’ordinanza del riesame avrebbe errato nell’identificare il profitto del reato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, confiscabile anche per equivalente, con il risparmio di spesa derivante dall’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, con cui sarebbero stati acquistati gli immobili di proprietà della moglie dell’imprenditore. Al contrario, il profitto del reato coincide con il patrimonio sottratto alla garanzia dell’Erario, e non con il debito tributario evaso costituito dalla somma di denaro (o dall’attività patrimoniale) la cui sottrazione all’Erario viene perseguita dall’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti. Infatti, “Il profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 va individuato non nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto ma nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui l’Erario ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo della fattispecie, attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere” (Cass. pen., Sez. III, 06 maggio 2015, n.40534). Infatti, secondo il costante orientamento della Corte di legittimità, il profitto del reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, confiscabile anche nella forma per equivalente, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase (così Cass. pen., sez. III, 22 gennaio 2015, n. 10214). Questa ricostruzione, avallata dalla costante giurisprudenza di legittimità, è coerente con la natura di reato di pericolo del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti posti in essere per occultare beni propri o altrui, ed idonei a pregiudicare, attraverso una valutazione “ex ante”, l’attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria, il cui profitto va individuato, pertanto, nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione viene perseguita dall’Erario.