Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Il quadro di riferimento europeo (di Gabriella Ratti, Presidente del Tribunale delle Imprese di Torino)


Nell’ambito dell’azione di responsabilità degli organi societari, l’intervento offre un’analisi del quadro di riferimento europeo. In tale prospettiva, l’autore si sofferma sulla disciplina della responsabilità degli amministratori negli Stati membri Unione europea sia nella fase non patologica della vita della società, sia nella fase in cui la società diventa insolvente. Da ultimo, si analizza la responsabilità degli amministratori di società in crisi ma non ancora insolventi.

The European framework

As part of the liability action of corporate bodies, the paper offers an in-depth analysis of the European reference framework. In this perspective, the author focuses on the discipline of the liability of directors in the Member States of the European Union both in the non-pathological phase of the life of the company and in the phase in which the company becomes insolvent. At the end, the responsibility of directors of companies in crisis but not yet insolvent is analyzed.

Keywords: liability action – corporate bodies – European framework

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La responsabilità degli amministratori negli Stati membri UE nella fase non patologica della vita della società - 3. La responsabilità degli amministratori negli Stati membri UE nella fase in cui la società diventa insolvente - 4. La responsabilità degli amministratori di una società costituita in uno Stato membro che opera esclusivamente o prevalentemente in altro Stato membro: il principio della libertà di stabilimento e l’applicazione della lex societatis - 5. La responsabilità degli amministratori di una società costituita in uno Stato membro che opera esclusivamente o prevalentemente in altro Stato membro: deroghe all’applicazione della lex societatis e applicazione della lex concursus - 6. La responsabilità degli amministratori di società in crisi ma non ancora insolventi - NOTE


1. Premessa

Il tema di questo convegno – crisi d’impresa e responsabilità vecchie e nuove degli amministratori – offre lo spunto per allargare lo sguardo al quadro europeo. La disciplina dei doveri e delle responsabilità degli amministratori negli Stati membri costituisce infatti un settore specialistico di interesse strategico non solo per il diritto interno ma anche per il diritto eurocomunitario in quanto coinvolge principi primari dell’Unione europea quali quelli della libertà di impresa e della libertà di stabilimento delle imprese nell’Unione europea nonché i correlativi obiettivi di rimuovere, attraverso una progressiva armonizzazione delle leggi di base, tutti gli ostacoli che si frappongono alla attuazione di questi principi. E così – almeno dagli anni Sessanta – l’Unione europea ha attivato plurimi studi e ricerche in materia societaria “to consider its future policy in this area”. Policy poi sfociata in Direttive e Regolamenti. Tra le prime (per esempio e senza pretesa di esaustività) si possono ricordare quelle che impongono norme minime in tema di tutela degli interessi degli azionisti, in tema di offerte pubbliche di acquisto per le società per azioni, in tema di pubblicità delle succursali, di fusioni e scissioni, in tema di società a responsabilità limitata con un unico socio, e, da ultimo, la direttiva UE 2019/1023 (Procedure uniformi in materia di insolvenza, ristrutturazione preventiva e esdebitazione); tra i secondi, si deve menzionare il regolamento sulle insolvenze transfrontaliere 2000/1346, poi aggiornato nel 2015 (reg. UE 2015/848). Il diritto societario europeo è dunque parzialmente armonizzato ma per quanto riguarda taluni aspetti e, in particolare, la responsabilità degli amministratori, gli Stati membri continuano ad applicare norme societarie proprie.


2. La responsabilità degli amministratori negli Stati membri UE nella fase non patologica della vita della società

Nella fase non patologica della vita della società, gli amministratori devono massimizzare gli interessi dei soci e perseguire l’interesse della società: in questa fase doveri e responsabilità degli amministratori si declinano nel rapporto società/organo amministrativo (anche se, in particolari e predefinite circostanze, doveri e correlativi diritti possono riguardare anche i soci (share­holders), i creditori e altri stakeholders. In tutti gli Stati membri gli amministratori sono tenuti ad effettuare una gestione diligente (duty of care) e a perseguire l’interesse sociale (duty of loyalty). Il duty of care – che riguarda il “come” gli amministratori devono gestire la società e che comprende la quantità e la qualità del lavoro e dello sforzo profuso, l’obbligo di agire informati, il possesso delle competenze ed esperienze necessarie per assumere decisioni e considerare gli effetti delle decisioni (outcome) – non presenta sostanziali differenze nelle formulazioni di comportamento previste dalle legislazioni dei diversi Stati membri. Tuttavia, a dispetto delle convergenze teoriche, la percezione di come lo standard “of care” viene applicato differisce ampiamente tra gli Stati membri e la sua applicazione pratica finisce per dipendere dal contesto. Collegato a quello della gestione diligente è il tema della Business Judgment Rule (BJR). La maggioranza degli Stati membri non ha previsto una esplicita formulazione della BJR: in questi casi, il margine di discrezionalità accordato agli amministratori dipende dalla interpretazione del duty of care e dalla presunzione che in “making decision business” gli amministratori agiscano informati, in buona fede e nell’onesta convinzione che l’azione intrapresa è nel miglior interesse della società. L’onere della prova è a carico di chi agisce: se la presunzione non è confutata o comunque superata da chi agisce nei confronti dell’amministratore, le Corti generalmente rispettano il “business judgment” dell’amministratore. Alcuni Stati membri (per esempio, la Germania, il Portogallo, la Romania, la Croazia e la Grecia) hanno invece codificato un’area di decisioni manageriali che non può essere sindacata dalle Corti. Ciò non significa che gli amministratori siano esposti ad un minor rischio di [continua ..]


3. La responsabilità degli amministratori negli Stati membri UE nella fase in cui la società diventa insolvente

Nella fase in cui la società si avvicina all’insolvenza (near insolvency of company) gli Stati membri adottano delle strategie per assicurare che gli interessi dei creditori siano correttamente tenuti in considerazione. La maggioranza degli Stati membri adotta una “rule” impostata sull’in­solvenza e non sul rischio di insolvenza e consistente nell’obbligo di ricorrere ad una procedura concorsuale Viene infatti previsto il dovere degli amministratori “to timely file for insolvency”, cioè il dovere di attivare una procedura concorsuale entro un certo periodo dal verificarsi dell’insolvenza. Per esempio, in Germania, la società è in stato di insolvenza quando è incapace di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni o quando vi è un sovradebito o uno sbilancio e l’attivazione della procedura concorsuale deve avvenire entro tre settimane dal verificarsi dell’insolvenza. Tipicamente questa strategia è rinforzata da una conseguente responsabilità degli amministratori per ogni esaurimento/perdita degli asset della società derivanti dal ritardo nella presentazione dell’istanza di fallimento Altri Stati membri (in particolare quelli di derivazione anglosassone come Cipro e l’Irlanda, ma questa regola è seguita anche in Olanda e in Romania) adottano invece uno “standard” – ossia la previsione di obblighi di condotta. Invece di “setting a legal requirement for the insolvency filing”, viene previsto il dovere di cessare le normali operazioni (“cease to trading”) ad un particolare punto, cioè quando gli interessi dei creditori sono a rischio [1]. Questa tecnica è nota come “wrongful trading strategy” ed è stata introdotta nel Regno Unito nel 1986 con l’Insolvency Act: gli amministratori, durante la procedura di liquidazione per insolvenza, possono essere condannati a reintegrare il patrimonio della società se prima dell’apertura della procedura di insolvenza sapevano o avrebbero dovuto sapere che non esistevano ragionevoli prospettive che la società potesse evitare l’insolvenza e non hanno adottato ogni possibile soluzione a disposizione per evitare l’insolvenza [2]. La tecnica della wrongful trading strategy è impostata sul rischio di insolvenza e consente alla società, almeno [continua ..]


4. La responsabilità degli amministratori di una società costituita in uno Stato membro che opera esclusivamente o prevalentemente in altro Stato membro: il principio della libertà di stabilimento e l’applicazione della lex societatis

Il principio della libertà di stabilimento – principio fondante dell’Unione europea e riconosciuto, anche per le società, fin dal Trattato CEE del 1957 e ora nel TFUE – attribuisce alla società costituite “conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell’Unione europea” il diritto di trasferirsi in uno Stato membro diverso da quello di origine per esercitarvi la propria attività economica alle stesse condizioni poste dalla legislazione dello stato di arrivo per le proprie società. Il principio opera sia in uscita (nel senso che le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento vietano che lo Stato di origine intralci lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione [4]), che in entrata. Con una sentenza del lontano 30 novembre 1995 (sent. Gebhard), la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che le misure nazionali suscettibili di ostacolare, circoscrivere o scoraggiare l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato sono legittime ed ammissibili ai sensi del diritto europeo solo quando vengono soddisfatte quattro condizione (c.d. Test Gebhard): 1.  le norme non sono discriminatorie (ossia devono essere applicabili allo stesso modo ai cittadini e agli stranieri cittadini degli altri Stati membri); 2.  le norme sono giustificate da motivi imperativi di interesse pubblico (ricorrenti quando sussista una minaccia grave ed effettiva ad un interesse fondamentale della collettività di natura non meramente fiscale o economica); 3.  le norme sono idonee a garantire il raggiungimento dello scopo perseguito; 4.  le norme sono commisurate e non sproporzionate rispetto a quanto necessario per l’ottenimento dello scopo cui sono preordinate. In materia societaria, il corollario del divieto per gli Stati membri di ostacolare la libertà di stabilimento si declina nell’obbligo di applicare la “lex societatis” e quindi nell’obbligo di riconoscere le società costituite in altro Stato membro secondo la legge loro propria anche in punto di capitale minimo e di responsabilità degli amministratori (salve possibili restrizioni se viene superato il [continua ..]


5. La responsabilità degli amministratori di una società costituita in uno Stato membro che opera esclusivamente o prevalentemente in altro Stato membro: deroghe all’applicazione della lex societatis e applicazione della lex concursus

Nel 1968, la Corte di Giustizia [7] – che si occupava dell’ambito applicativo della Convenzione di Bruxelles alle decisioni in materia fallimentare – ritenne che le decisioni interenti al fallimento erano escluse dalla Convenzione di Bruxelles (e oggi dal regolamento di Bruxelles) se derivano direttamente dal fallimento e si inseriscono strettamente nell’ambito del procedimento e, in particolare, se: (i) l’azione rappresenta una deroga rispetto ai principi generali del diritto civile e commerciale; (ii) l’azione mira a proteggere la generalità dei creditori; (iii) l’azione viene esercitata dal curatore fallimentare [8]. In concreto, accadeva però che giudici di più di uno Stato si potessero ritenere competenti ad aprire la procedura d’insolvenza transfrontaliera, generando così un conflitto di giurisdizione ed un conflitto di leggi applicabili che veniva risolto considerando come procedura principale quella che era stata aperta per prima. Nel 2000 è stato emanato il regolamento sulle insolvenze transfrontaliere (reg. 2000/1346) che prevede che alla procedura fallimentare si applica la legge dello Stato membro nel cui territorio tale procedura è aperta (c.d. lex concursus). Il regolamento del 2000 è stato poi aggiornato nel 2015 (reg. UE 2015/848) e il nuovo art. 3.1 stabilisce che: “Sono competenti ad aprire la procedura d’insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore (procedura principale di insolvenza). Il centro degli interessi principali è il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi”. Inoltre, ex art. 6 dello stesso regolamento, “I giudici dello Stato membro nel cui territorio è aperta una procedura di insolvenza … sono competenti a conoscere delle azioni che derivano direttamente dalla procedura e che vi si inseriscono strettamente…”. In sintesi, il regolamento UE 2015/848: (i) ha unificato i criteri di diritto fallimentare nell’Unione europea (il criterio per individuare la legge applicabile e la giurisdizione internazionale è il COMI, cioè il luogo ove il debitore conduce i propri interessi in maniera regolare ed è riconoscibile da parte dei terzi); (ii) si presume che il COMI sia situato nel paese di sede [continua ..]


6. La responsabilità degli amministratori di società in crisi ma non ancora insolventi

Come è noto, con la recente direttiva UE 2019/1023 (Procedure uniformi in materia di insolvenza, ristrutturazione preventiva e esdebitazione) l’Unione europea si è proposta di limitare le differenze esistenti tra i diversi ordinamenti nella fase di crisi della società. La direttiva – che si applica alle imprese non ancora insolventi ma solo in crisi, dato che, secondo la comune esperienza raramente l’insolvenza si verifica repentinamente ma è preceduta da uno stato di crisi destinato ad aggravarsi fino a diventare irreversibile – intende introdurre un quadro giuridico armonizzato sia nell’ambito della prevenzione della crisi di impresa (attraverso procedure di allerta e di ristrutturazione preventiva) sia nell’ambito dell’esdebitazione – quadro giuridico uniformemente applicabile negli Stati membri ma adattabile ai diversi contesti in sede di recepimento in considerazione delle molteplici discipline nazionali e atto a garantire un efficiente e continuo monitoraggio delle procedure di insolvenza, a scongiurare soluzioni liquidative e ad affrontare in anticipo la crisi di impresa evitando una procedura di insolvenza. I doveri degli amministratori, qualora sussista una probabilità di insolvenza, vengono delineati nell’art. 19 della direttiva (rubricato “Obblighi dei dirigenti qualora sussista una probabilità di insolvenza”) che devono tener conto “come minimo” degli interessi dei creditori, degli interessi dei detentori di strumenti di capitale e degli interessi portati da altri soggetti (lavoratori/­dipendenti). Il richiamo agli interessi dei creditori e di altri soggetti coinvolti nella crisi dell’impresa (lavoratori) è una novità rispetto alla tradizionale concezione per cui gli amministratori, almeno sino all’insolvenza, devono perseguire gli interessi dei soci, tuttavia ciascun Stato membro può modulare come vuole questo principio generale e anche il presupposto oggettivo di applicazione dei piani di ristrutturazione preventiva – ovvero la probabilità di insolvenza – è lasciato ai legislatori nazionali. In questo nuovo quadro legislativo europeo, ci si può chiedere se gli Stati membri possono qualificare come lex concursus anche i doveri e le responsabilità degli amministratori delle società in crisi e in prossimità [continua ..]


NOTE